Coronavirus

Il rischio zero non esiste. Fate ripartire i consumi

Per qualche ora è circolata la notizia che, dopo il 3 giugno, solo molisani e umbri sarebbero potuti entrare in Lombardia e viceversa, essendo regioni con il medesimo indice di contagio.

Il rischio zero non esiste. Fate ripartire i consumi

Per qualche ora è circolata la notizia che, dopo il 3 giugno, solo molisani e umbri sarebbero potuti entrare in Lombardia e viceversa, essendo regioni con il medesimo indice di contagio. Benché sia stata smentita c'è chi giura che dalle parti del ministero della Salute ancora ci pensino. Come le proposte, poi bloccate dalle Regioni, dei dieci metri tra gli ombrelloni, oppure la misurazione della temperatura all'ingresso degli stabilimenti a quaranta gradi all'ombra, o ancora la proposta dei 4 metri di distanza tra un tavolo e l'altro dei ristoranti. Sembrano scherzetti scaturiti dalla mente di un diavoletto burlone invece sono raccomandazioni nate da molte menti di scienziati, con i loro modelli, i loro algoritmi e le loro proiezioni. Se queste e altre misure dovessero essere prese sul serio sarebbe il caso di dire fiat salus pereat mundus: cioè la massima «sicurezza» garantita produrrebbe la morte di tutti noi. Non per Covid (forse) ma di miseria. Scrive il Wall Street Journal che l'Italia, più di altri paesi europei, sta per essere investita da una «pandemia di povertà», causata dal covid su un corpo però già malato, visto che siamo la sola economia della area euro, forse con la Grecia, a non esserci mai rimessi dalla Grande Recessione iniziata dal 2008. Per ridurre gli effetti di questa pandemia di povertà i sussidi statali e i vari redditi di emergenza, peraltro limitati ai casi più gravi, servono a tamponare a breve: solo la ripresa della produzione e il circolo delle merci possono evitare di farci finire come la Grecia. Ma perché si attivino i consumi ancora timidi - come ha spiegato ieri Confesercenti, solo il 20% degli italiani è tornato ad acquistare - bisogna smettere di terrorizzare, di minacciare, di fare balenare la morte dietro l'angolo a tutti, compresi fruitori della movida e bagnanti in spiaggia. Bisogna che il governo, i media e tutti noi impariamo una cosa: a convivere con il virus. L'esecutivo, invece di rimproverare i consumatori, si dovrebbe impegnare a dotare nel più breve tempo possibile di ventilatori gli ospedali e perché no a costruirne di nuovi - se poi dovessero restare vuoti, tanto meglio, li si riadatterà. E la smetta di seguire pedissequamente i suggerimenti della scienza: dai tempi di Heisenberg e di Popper sappiamo che essa è fallibile e fallibilistica, e che certo non è un sapere «oggettivo». La finiscano poi media, cantanti e attori, magari dalle loro ville con piscina, di spargere il seme del pandemicamente corretto, nuova incarnazione, ma ancora più intollerante, del politically correct: chi cammina da solo senza mascherina non è un untore da assaltare (ma c'è persino chi scruta dalle finestre e chiama la polizia). Ognuno di noi adotti un comportamento responsabile ma non fanatico. La prudenza non si deve trasformare in paura, che ci fa diventare tutti servi, pecorelle belanti. Dobbiamo infine capire che la sicurezza assoluta non esiste. La nostra società, diversamente da quella dei nostri nonni e bisnonni, ha allontanato da sé la morte ma anche l'idea di rischio. Ci eravamo illusi di avere costruito, grazie alla tecnica, un mondo controllabile, pianificabile, razionalmente gestibile con modelli e algoritmi, un mondo in cui il rischio, l'imprevisto e il destino erano stati eliminati. La pandemia è venuta a ricordarci che non è cosi.

Quindi, senza mai dimenticare il virus, usciamo e consumiamo, se non vogliamo morire di pandemia economica - o di depressione.

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