D unque la Cassazione ha stabilito che non si può dare uno schiaffo ai propri figli. Prima ancora di qualsiasi altra considerazione, dobbiamo chiederci se è giusto, se è sopportabile, che la giustizia, ovvero lo Stato, interferisca a tale punto nella vita privata dei cittadini.
Da buon difensore della libertà e dell'autonomia dell'Individuo nelle proprie scelte e nella propria vita, mi viene istintivamente da dire di no. Lo Stato di per sé impiccione, regolatore eppure arruffone deve entrare il meno possibile nelle legittime scelte delle persone. «Meno Stato, più Individuo», è il motto che una società libera e liberale deve seguire. È una teoria che ritengo giusta persino sul tema della morte (eutanasia), tanto più sembrerebbe logico applicarla all'educazione dei figli.
Invece no, credo abbia ragione piena la Cassazione quando sentenzia che lo schiaffo non può essere considerato uno strumento educativo, in quanto «l'uso abituale della violenza a scopi educativi, sia per il primato che l'ordinamento attribuisce alla dignità delle persone, anche del minore, ormai soggetto titolare di specifici diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione, sia perché non può perseguirsi quale meta educativa lo sviluppo armonico della personalità usando un mezzo violento che tale fine contraddice». Tradotto in una frase che non richieda tre riletture, significa: lo schiaffo influisce negativamente sulla personalità del bambino, quindi la legge protegge il minore, anche dai genitori.
Il bambino non appartiene a mamma e babbo, anche se lo hanno creato, lo crescono e lo amano. Il bambino è, prima che un figlio, un Individuo. E non è tollerabile che un Individuo venga percosso per renderlo migliore. Non è tollerabile neppure verso un cane o un cavallo, figurarsi per un essere umano indifeso, carne della propria carne. Qualcuno obietterà che uno scapaccione non ha mai fatto male a nessuno, anzi: ma è un modo antico di pensarla, e non sempre la tradizione è sinonimo di qualità. Quasi tutta la pedagogia, ormai, ritiene la punizione fisica un errore dannoso per chi la subisce, e non occorre neanche appellarsi alla scienza pedagogica. Ragazzino ribelle, so bene di esserlo diventato sempre di più ogni volta che mia madre - ti voglio bene, mamma - mi inseguiva per colpirmi sulle cosce nude con il mestolino di legno; e ho il ricordo netto dei miei compagni passivi che diventavano sempre più passivi, timorosi nell'animo, a ogni botta o bottarella, fino a smettere di riceverne.
Oggi non li invidio, e risparmierò ai miei figli sia la pena che provavo io, sia quella che provavano gli amici miei miti.
@GBGuerri
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