Quando è cominciato il dibattito Donald Trump sembrava un altro. Inchini e carezze a Hillary Clinton di cui voleva addirittura proteggere la felicità. Le idee ancora forti, ma smussate dai salamelecchi. Diavolo d'un uomo, hanno pensato gli analisti, sta tentando di mettere insieme la botte piena (la «pancia» americana evocata dagli inferi della società marginale) e la moglie - Hillary - ubriacata dalle smancerie e cortesie di scena. Così vista, l'operazione aveva un senso: trattenere gli arrabbiati e riconquistare i nauseati conservatori fuggiti a gambe levate dai suoi comizi. Ma la botte non era piena, né la moglie così ubriaca e il risultato è stato un arretramento. Secondo molti giornali, Hillary lo avrebbe battuto ai punti, più o meno sessanta a quaranta.
La conclusione che se ne deve trarre è che quando Trump non fa il Trump perde terreno e perde anche le elezioni. Ma, attenzione: ci sono ancora due dibattiti fra la strana coppia in corsa e già orde di collaboratori e analisti elaborano strategie comunicative, correzioni che riguardano anche il gesto, il linguaggio, i movimenti del corpo e le espressioni. Quanto ai concetti generali della sua politica economica («basta con gli alleati costosi e inutili, torniamo noi stessi e prendiamo a calci chi ci vuole derubare»), quelli resistono. Ciò che non resiste è l'impulso dell'aggressività impunita che è abituato a usare.
La sua geniale costruzione politica è consistita finora nel resuscitare un elettorato silenzioso e arrabbiato, incarnandolo anche con le volgarità: un popolo di pelle bianca con un livello di istruzione medio-basso, pronto ai forconi, sicuro che il colpevole della sua grama condizione umana sia il politico di professione. E Hillary Clinton è il ritratto del politico di professione: first lady, senatrice, segretario di Stato, candidata alla Casa Bianca, la regina dei segreti meandri. Ma quel popolo coi forconi evocato da Trump fa venire la nausea al vero elettore repubblicano americano, che è un conservatore ma non ama le urla, è snob e ha molta puzza sotto il naso. Quell'elettore repubblicano in giacca e cravatta ha rotto subito con Trump e ha cercato in tutti i modi di farlo fuori. Di conseguenza, tutti i consiglieri lo hanno assillato con una sola raccomandazione: sii presidenziale, non svaccare, non straparlare, pensa a quel che dici e sii educato. E lui l'ha fatto, incassando alla fine più legnate che applausi, perdendo - dicono i numeri - i favori dell'americano arrabbiato. Che fare a questo punto? Tornare a essere quello di prima, quello che non misura le parole e più fa scandalo più sale nei sondaggi; oppure costruire alla svelta il presidente che non c'è senza perdere però il contatto con il suo popolo aggressivo? La risposta noi non l'abbiamo, ma sembra che non ce l'abbia neanche lui. Tuttavia l'avversario che ha di fronte, la scaltra Clinton, non è imbattibile perché ripete sempre lo stesso ritornello: tassare i ricchi per nutrire i poveri. Non è una gran ricetta per un Paese che vive del proprio asimmetrico dinamismo scientifico, economico e della comunicazione.
Per farcela, Trump dovrebbe inventare un altro genere di fuochi d'artificio politico, senza ricorrere al suo repertorio rabbioso. Ce la farà a cambiare ruote e motore in un mese? Improbabile. Ma The Donald è un prestigiatore pieno di risorse e di conigli nel cappello.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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