Ucciso in strada con un colpo in testa La Roma violenta è un caso politico

Ucciso in strada con un colpo in testa La Roma violenta è un caso politico

N elle metropoli, e non solo, gli omicidi si commettono. E anche in quelle ben amministrate: il male sta nell'uomo, si può contenerlo, non eliminarlo. Ma quando avvengono in città in cui la legalità minima è quotidianamente violata, in cui domina l'incertezza assoluta su ciò che potrebbe accaderti - un autobus incendiato, una buca che ti fa precipitare dallo scooter, anche perché molte strade restano al buio, uno scippo violento in metropolitana - questi eventi di cronaca colpiscono ancor più. Il lettore avrà capito che stiamo parlando della Capitale e dei due gravi fatti di sangue, con vittime un italiano, Luca Sacchi, purtroppo deceduto, e un cittadino cinese, per ora senza nome. Mentre solo qualche (...)

(...) settimana fa, un carabiniere, Cerciello, era stato violentemente ammazzato nella notte romana. Tra l'altro, a proposito di italiani e cinesi, notiamo quasi il sollievo della stampa «democratica e progressista» perché i sospetti omicidi di Luca sarebbero autoctoni, forse persino romani. Chissà infatti cosa sarebbe potuto accadere se fossero appartenuti ad altra etnia o nazionalità.

La realtà è che la città è profondamente insicura: e a nessuno importa se le statistiche dicono il contrario. E quando la percezione dell'insicurezza aumenta si crea una situazione alla sudamericana: i cittadini non si abituano, anzi, diventano più emotivi, violenti e per certi aspetti, spietati. Da qui il pensiero di molti, a un fatto di cronaca, che possa essere responsabile uno straniero: a Roma, nella città storicamente meno xenofoba d'Italia, non siamo diventati tutti razzisti. Però viviamo in uno stato di degrado quotidiano e continuo. E certamente i sindaci in Italia non si occupano di ordine pubblico, visto che alle loro dipendenze sta solo la polizia municipale. Ma inevitabilmente, i fatti di cronaca e la violenza diffusa e quotidiana riverberano sulla loro azione. Soprattutto quando, come nel caso di Virginia Raggi, il fallimento dell'amministrazione è chiaro, patente e conclamato: anche per gli stessi 5 stelle, che ora persino nelle interviste ammettono la totale inadeguatezza del loro sindaco.

In attesa che la disastrosa giunta Raggi chiuda il mandato, e nella speranza (in realtà assai flebile) che le cose possano cambiare con un sindaco e una maggioranza diversi, i cittadini romani desiderano più sicurezza. A questo devono rispondere il governo e il ministro dell'Interno, sia sul piano della repressione della criminalità che sul versante del mantenimento della legalità, evitando ad esempio di aprire nuovi centri di raccolta immigrati e di dislocarli sempre nei soliti quartieri, quelli che non votano Pd. Se il governo deve inviare più uomini e forze nella Capitale, dovrà però evitare di fornire poteri speciali al sindaco di Roma, come chiesto da Di Maio: l'incapace a cui viene concessa maggior forza non si fa più efficiente, rischia anzi di produrre danni maggiori. E non ci si illuda con l'idea di finanziamenti speciali per Roma: a parte che il resto del Paese non capirebbe perché, secondo una logica invertita, si premi l'inefficienza, il grande problema della Capitale non sta strettamente nei denari a disposizione del sindaco. È nel modo in cui vengono spesi o buttati, a seconda del punto di vista.

Ed è nel tessuto delle reti sociali, che anni di malgoverno e di incuria hanno inevitabilmente lacerato. Per ricostruirlo, semmai fosse ancora possibile, ci vorranno lunghi periodi di sforzi e di umiltà: una dote che l'attuale sindaco, credendosi una donna della provvidenza, mai ha dimostrato.

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