Crudo, buonista e poco originale

Fare l’orafo a Treviso è sinonimo di ricchezza e grettezza per il cinema italiano da festival. A quello di Berlino, Matteo Garrone lo disse con Primo amore; alla Festa di Roma, ieri, l’ha ribadito Giuseppe Tornatore con La sconosciuta (fuori concorso), che non è bello, ma almeno non è brutto quanto La leggenda del pianista sull’oceano e Malèna. Stranamente La sconosciuta spaccia per Treviso, o per dintorni della medesima, Trieste; proprio come Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino è stato girato in un albergo di Treviso presentato come un albergo di Chiasso. Poco male per lo spettatore, molto male per la Friuli-Venezia Giulia Film Commission, che, contribuendo al film, sperava in un ritorno d’immagine per la città giuliana. Del resto anche il personaggio della prostituta (Ksenia Rappoport) è incerto nelle origini. Viene detta ucraìna, ma a un certo punto lei parla di «Gracanica», località del Kosovo dove i monasteri ortodossi vengono oggi bruciati dagli albanesi... Comunque, che sia ucraìna o serba, poco conta; conta che la donna sia sfruttata due volte dagli italiani. C’è infatti il prosseneta meridionale (un Michele Placido ansimante e glabro), che l’ha trasformata in fattrice di bambini (nove) da vendere; e c’è la famiglia di orafi che - secondo la donna - ha allevato la sua ultima figlioletta (Clara Dossena).
Tornatore approda dunque dalle parti di Giordana (Quando sei nato, non puoi più nasconderti, altro film da festival). E, come nel film di Giordana, la prima mezz’ora scorre, descrivendo la tela di ragno che la donna tesse attorno alla famiglia (Claudia Gerini e Pierfrancesco Favino) che alleva la «sua» bambina. Affiorano in questa fase ricordi del Servo di Joseph Losey e della Cerimonia di Chabrol. Ciò non sarebbe necessariamente un male, se non si affollassero i flashback di un solatio e violento sud italiano, degno del tornatoriano Camorrista. Essi però servono a giustificare i crimini della donna nel plumbeo e ovattato nord. Per cominciare, la brava donna butta dalle scale un vecchia serva (Piera Degli Esposti), che le aveva fatto solo cortesie; poi s’infiltra nella casa degli orafi, con intenti anche di seduzione, cui Tornatore accenna mostrando un fugace nudo della Gerini, molto apprezzato dall’insinuante colf... Più si rivela il percorso del personaggio principale, meno esso è interessante. E il film sfocia in un buonismo contrastante con le premesse, come se l’intervento di polizia e magistratura (il braccio pubblico) potessero rimediare ai danni fatti dai privati. Peggio, Tornatore rappresenta ogni dieci minuti l’iper-crudeltà schematicamente, come se bontà e cattiveria dipendessero dai «rapporti di produzione», come si diceva una volta, o dal reddito, come si dice ora. È la realtà la vera Sconosciuta, del film.
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Proprio la realtà - così ambigua - è la cifra di un altro film presentato ieri alla Festa di Roma, molto meno costoso e ambizioso della Sconosciuta, ma molto più riuscito: This Is England di Shane Meadows (in concorso). È l’autobiografia adolescenziale del regista nell’estate 1983: orfano del padre, caduto nella riconquista delle Falkland l'anno prima, il ragazzo (Thomas Turgoose) diventa il beniamino di una compagnia di ragazzi fino ai trent’anni, skinhead vagamente politicizzati. Il ritorno dal carcere del più autorevole di loro (Stephen Graham) spacca il gruppo con la sua adesione al National Front. La loro militanza non va oltre intimidire qualche pachistano, ma un giorno la rabbia del capo, originata da frustrazioni personali, si rivolge contro il giovane giamaicano che era stato fino allora uno dei loro. E con quella sciocca ritorsione il sodalizio s’infrange.

Film alla maniera di Ken Loach (meglio copiare bene che essere originale male, però), This Is England non rappresenta dei buoni e dei cattivi, ma un gruppo di giovani poveracci che hanno solo la patria alla quale aggrapparsi, proclamandosi nazionalisti. Occorre essere più ricchi per essere laburisti o conservatori.

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