da Roma
Il magistrato non deve sentirsi investito di «missioni improprie, né dimostrare di avere il coraggio di toccare i potenti». Lo dice Giorgio Napolitano, presiedendo il plenum straordinario del Csm sui rapporti tra giustizia e politica. Il momento lui stesso lo definisce «delicato e complesso»: si va alle urne dopo una crisi di governo provocata da provvedimenti giudiziari contro il ministro della Giustizia Clemente Mastella, sua moglie, messa agli arresti domiciliari, e contro amministratori dellUdeur. Il Csm sta per decidere sul trasferimento dufficio del gip Clementina Forleo che, occupandosi delle scalate bancarie, ha dato molto fastidio a leader come Massimo DAlema e Piero Fassino, e ha da poco condannato il pm Luigi De Magistris, che indagava su Mastella e Romano Prodi, a cambiare sede e funzioni proprio perché aveva scambiato il suo «mestiere» per una «missione».
Il capo dello Stato non fa riferimenti espliciti, ma avverte che il magistrato deve operare con «cautela» soprattutto per le misure cautelari e non può «considerarsi chiamato a colpire il malcostume politico che non si traduca in condotte penalmente rilevanti». La sua sola missione è «applicare le leggi». Napolitano parla però di «duplice cortina di pregiudizio e di sospetto» da dissipare tra politica e magistratura, di «complessi difensivi e impulsi di ritorsione polemica» dalle due parti. E ai politici, che troppo spesso gridano al complotto, dice: «Linvestitura popolare, diretta o indiretta, non può diventare privilegio esonerando chicchessia dal confrontarsi correttamente con il magistrato chiamato al controllo di legalità». Basta con la «contestazione sommaria e generalizzata», ma massimo di «tempestività e rigore» nelle azioni disciplinari contro le toghe che sbagliano.
Nelle due ore di dibattito al Csm Napolitano si rende conto delle posizioni diverse e delle tensioni interne. Mentre i portavoce delle diverse correnti per lo più difendono i colleghi dalle «interferenze» della politica, il vicepresidente Nicola Mancino critica il corporativismo, «unidea di appartenenza», che spesso prevale nel Csm. Per avviare un dialogo, dice, ci vuole «buon senso, giusta misura e proporzione» da parte dei politici ma anche dei magistrati. Che devono lavorare in silenzio, non cercare «la ribalta», il «sensazionalismo», i «processi mediatici».
I togati del Csm volevano discutere ieri un documento sulle polemiche di Mastella contro la Procura di Santa Maria Capua Vetere. Così non è stato, ma Gianfranco Anedda, a nome dei laici della Cdl, critica duramente un metodo che svilisce il Consiglio a «mera associazione di magistrati che si trasforma nel sindacato delle toghe»; attacca la prassi delle «pratiche a tutela» e difende Mancino dalle critiche rivoltegli per aver definito sbagliato larresto di Sandra Mastella. Il Csm, afferma, «ha fallito nei suoi compiti istituzionali». «Quando i magistrati si sentono sotto attacco continuato, sotto assedio, possono tendere a chiudersi in una difesa corporativa», dice Livio Pepino di Magistratura Democratica. Per Ciro Riviezzo dei Movimenti Riuniti è prevalsa «sulla critica nel merito laccusa non dimostrata di complotti politici e di dolosa parzialità». Antonio Patrono di Magistratura Indipendente offre piuttosto proposte per mettersi al riparo da critiche feroci: organi collegiali per decidere le misure cautelari e una definizione più precisa della notizia di reato in base alla quale si iscrive nel registro degli indagati.
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