La caccia è aperta. Qualcuno in Italia, incredibilmente, è convinto che esista, in campo editoriale-letterario, una domanda di qualità insoddisfatta. Insomma, che ci siano in giro lettori forti purtroppo assuefatti a libri deboli, lettori pronti per essere accompagnati verso «un'esperienza a tutto tondo della nuova letteratura». Almeno, così recita lo slogan della nuova collana di Ponte alle Grazie, dal titolo inequivocabile: Scrittori. Dove per «scrittori» non si intendono i bestselleristi (semmai lo potranno anche diventare), ma i veri scrittori. I lettori, il mercato, e gli altri scrittori sono avvisati.
Fortemente voluta dal direttore editoriale di Ponte alle Grazie, Luigi Spagnol, assieme ai due editor di punta della maison, Cristina Palomba e Vincenzo Ostuni, la collana pubblicherà autori non puramente commerciali, o semplici narratori di storie, per quanto bravi, ma scrittori che scelgono percorsi inediti, forme ibride, nuove strade della scrittura narrativa. Quello che ambiziosamente si chiama «letteratura», e che trova sempre meno spazio in libreria. Ma di cui si è convinti - almeno a Ponte alle Grazie lo sono - ci sia bisogno, cioè domanda. Domanda di qualità letteraria.
Ma è davvero così? E, ammesso che finora nessun altro editore si dedichi alla «letteratura di qualità» (e invece tante piccole sigle investono in questo campo, e la stessa Mondadori, per fare un esempio, accanto ai megaseller-spazzatura, nella collana Sis pubblica romanzi ottimi), c'è veramente così tanta gente che cerca qualcosa di diverso rispetto a Fabio Volo o Luciano Ligabue o alle Cinquanta sfumature? «Secondo me sì - è la convinzione di Luigi Spagnol -. Conosco tante persone che non aprono nemmeno un libro di Volo, che diffidano dei libri in classifica... È una forma di snobismo culturale che non approvo, però testimonia che un pubblico di lettori forti c'è. L'impressione è che il mercato editoriale rincorra sempre il lettore debole - che va benissmo, lo abbiamo fatto anche noi tante volte con Giobbe Covatta o la Parodi - ma non possiamo dimenticare gli altri lettori».
E per questi lettori, Luigi Spagnol e la sua squadra hanno pensato a una collana «alta», costruita con autori italiani e stranieri, emergenti o affermati, selezionatissimi, per un lettore non di massa, ma appartato. Non libri mainstream ma - se non fosse una brutta parola - d'élite. Come Laura Pugno (che inaugura la collana con La caccia), scrittrice romana quarantaduenne, adorata dalla critica, e non solo quella democrat alla Guglielmi e Cortellessa, già pubblicata da minimum fax e Einaudi. E poi, a breve, Goran Rosenberg, Andrés Neuman, Philippe Claudel, un repêchage di Emanuele Trevi, un diario di viaggio di Cees Nooteboom... Facendo così due scommesse in una: sui lettori - («Penso ci sia ancora un pubblico a cui piace andare in libreria a cercare un libro di cui non ha ancora sentito parlare, che non ha visto in tv, che non si trova al supermercato») - e sull'autore («O si pensa che nessuno sia in grado di produrre la letteratura di Proust e Joyce, piuttosto che di DeLillo o Javier Marías, oppure non ci si crede abbastanza...»). Di fatto, è una questione di «qualità».
Ma cos'è la qualità, in narrativa. L'originalità, la profondità della scrittura, le trame? O lo stile, il taglio del racconto, lo spessore dei personaggi? Per Spagnol, che peraltro non ha mai creduto solo nella qualità della scrittura («Chi conosce bene il russo dice che Dostoevskij non scriveva bene, e lo stesso dicono i critici giapponesi di Murakami, eppure...»), spiega con un esempio, letterario naturalmente, cosa intende per qualità: «Da piccolo leggevo i romanzi di Salgari o La collina dei conigli, che erano storie bellissime. Poi, crescendo, ho letto Tommaso Landolfi, che mio padre ripubblicava all'epoca in Rizzoli, e ho scoperto un'altra dimensione della letteratura, vale a dire la Letteratura, con la L maiuscola...».
Ci sono le belle storie, di cui sono pieni i bookstore, poi ci sono le belle storie scritte bene («Chessò: Harry Potter o i libri di Ken Follett, che sono besteller ma anche buoni libri...») e poi c'è la Letteratura. «La terza è la cosa che vorremmo fare noi. Mentre l'impressione è che oggi si preferiscano le prime due». Anche se su questo, pensiamo a certa Einaudi, o Adelphi, qualche editore avrà da dire.
Dodici-quindici titoli l'anno, nomi stranieri e italiani, niente classici, senza prefiggersi un numero di copie vendute («Se andiamo avanti significa che abbiamo vinto la scommessa, perché se non si vende si chiude»). Ecco la sfida di Scrittori. Cioè quelli che quando scrivono, cercano di fare letteratura. Una cosa non da tutti, non per tutti.
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