Ci vuole un mecenate che ami la «Poesia»

diAi miei lettori sembrerà strano che proprio io, scrittore avverso ai poeti (e anche ai santi e ai navigatori in realtà), raccolga il may day di cui sto per parlare, ma la questione è importante anche per me. Per farla breve: la più nota rivista di poesia, Poesia appunto, sta per chiudere a causa dei debiti. Attenzione: qui non c'entrano le ragioni di mercato, non salti fuori qualcuno per dire chissenefrega, se fallisce significa che non vende. Anche perché senza Nicola Crocetti, e le sue edizioni, oltre a Poesia , non si sarebbero letti in Italia Nobel e grandi autori come Tranströmer, Heaney, Walcott, Brodskij, Kavafis, Bonnefoy e tanti altri, a citarli tutti si riempirebbe un elenco telefonico. Ventotto anni di attività, quasi 300 numeri della rivista, tremila poeti presentati, 35mila poesie pubblicate, un patrimonio critico e iconografico con cui Nicola Crocetti non si è certo arricchito, anzi: ha portato avanti il suo progetto editoriale da solo, con passione e molti sacrifici, per 33 anni e senza denari pubblici. All'estero progetti simili, di così lunga durata e spessore, si conquistano il diritto di essere aiutati dallo Stato: la Francia, per esempio, sa benissimo quanto il suo prestigio internazionale passi per il prestigio culturale, per questo loro hanno il Goncourt e noi abbiamo lo Strega, un consesso di zombie e piccoli carrieristi che è la brutta copia del parlamento italiano, il quale è già la brutta copia di qualsiasi altro parlamento. Da qualche giorno, gira una lettera indirizzata dal poeta Alessandro Fo a circa 300 intellettuali e scrittori italiani per chiedere aiuto. Un aiuto concreto per un'idea, un pensiero, un valore, la stessa idea per cui mandiamo i figli a scuola a studiare Leopardi o Montale. Tanto è inutile bussare alle porte dei ministeri preposti, qui non riescono neppure a non far crollare un muro a Pompei. Tuttavia questa vicenda mi ricorda un caso di qualche anno fa: mi capitò un gruppo di temerari impegnati a tradurre lo Zibaldone in inglese. Il problema, anche all'epoca, erano i soldi. Così la trovata fu questa: inutile chiedere allo Stato, Giacomo Leopardi lo finanzino i privati. Come accade con il restauro dei monumenti. Come accade negli Stati Uniti, dove grandi imprenditori sono grandi mecenati. Rivolsi un appello a tutti gli imprenditori importanti, da Krizia a Armani, da Benetton a De Benedetti, finché arrivarono centomila euro di Silvio Berlusconi, per cui adesso il nostro più importante poeta e pensatore lo conoscono anche oltreoceano.

E quindi, non c'è nessuno in grado di salvare la poesia? Il buco è piccolissimo per un imprenditore, costa meno aprire un bar, molto meno di una serata di Benigni per leggervi Dante alla Rai, ma è una falla fatale per la barca corsara di Crocetti, pur abituata a navigare controcorrente. Oppure, se a nessuno importa, resta un'altra triste ma coerente alternativa, una modesta proposta swiftiana che rivolgo al ministro Stefania Giannini: abolisca la poesia dalle scuole, ci facciamo una figura migliore.

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