Elogio di Pierre Favre, il Bergoglio del '500 che rilanciò la Chiesa

Teologo e amico di Ignazio di Loyola, predicò il "ritorno al cuore" della cristianità. Con slancio evangelico ma senza compromessi

Elogio di Pierre Favre, il Bergoglio del '500 che rilanciò la Chiesa

Niente di strano che libri del passato raccontino a perfezione il presente: in fondo (vivaddio) il lavoro dei classici è proprio quello. Ma fa meraviglia che un testo su un autore non mainstream, scritto da uno specialista, offra spunti, idee, e perfino situazioni «romanzesche» così adattabili al momento che stiamo vivendo.
Se si parla di cattolicesimo in tempi di crisi, di tensioni religiose in una cultura liquida, e magari anche della fisionomia intellettuale di un Papa dall'irresistibile fascino pop come Francesco, torna buono questo libro appena pubblicato da Jaca Book: Pierre Favre, di Michel de Certeau (a cura di Luce Giard, pagg. 95, euro 12). Favre (1506-1546), teologo originario della Savoia, «uomo dal cuore tenero e dalla mente sottile», è stato nientemeno che il compagno di stanza e «l'ispiratore mistico» di Ignazio di Loyola. Quindi uno dei fondatori della Compagnia di Gesù, nonché il primo gesuita a essere ordinato sacerdote. Favre è stato proclamato santo proprio da Papa Bergoglio, nel dicembre scorso. L'autore del saggio, Michel de Certeau (1925-1986) è lo studioso che ha raccontato storia, antropologia e mistica gesuita secondo i termini di un '900 consapevole di Freud, Lacan, sociologia e postmoderno. E la prima cosa notevole, come si accennava, è l'analogia del quadro storico del '500 con quello attuale, almeno per l'aspetto della grande confusione sotto al cielo. La Compagnia di Gesù, approvata da Paolo III nel 1540, nasce in un momento di stanchezza della chiesa Cattolica, con il razionalismo che si prepara a gettare l'ipoteca definitiva sulla modernità, Martin Lutero che carica la sberla epocale, politica, culturale e spirituale, della Riforma protestante, i vari tronconi ereticali in agitazione, la persistenza (in certi casi una nuova vegetazione) di culti stregoneschi in tutt'Europa.
Pierre Favre attraversa questo magma, il suo è quel che Giuliano Ferrara sul Foglio ha definito «uno spericolato curriculum di santità». Figlio di modesti agricoltori della Savoia, fa autonomo voto di castità a dodici anni, e poi fa di tutto per avviare un curriculum di studi, fino alla laurea in arti liberali a Parigi. Lì si trova nella stessa camera Francesco Saverio e, poco dopo, un quarantenne bisognoso di ripetizioni di latino: Inigo (poi latinizzato in Ignazio) Lopez de Loyola. È il terzetto che divide, come scrisse Fabre, «il vitto, la stanza e la borsa», e che darà origine alla Compagnia di Gesù. La prospettiva è quella di un «ritorno al cuore» di origine mistica che diventa motore del «discernimento» sul che fare, attraverso l'esame di coscienza degli Esercizi spirituali.
De Certeau ci ricorda che Favre dovette forzare la propria natura portata semmai al ritiro e all'isolamento per evangelizzare. Senza concludere gli studi teologici, passerà il resto della sua breve vita in viaggi spossanti a piedi per l'Europa, da Roma a Venezia, alla Germania, alla Francia alla Spagna. Sempre impegnato con le comunità locali, e sempre a contatto con le faglie storico-culturali dell'instabile Cristianesimo di allora, Favre è un «eroe interrotto» (non è una diminutio) dell'evangelizzazione: «partiva sempre troppo presto per constatare i frutti del suo lavoro», ricorda de Certeau. Destino che si ripete fino alla fine: «chiamato come teologo al concilio di Trento, giunse fino a Roma, ma vi morì di fatica il primo agosto del 1546, senza essere giunto al termine del suo viaggio».
Una lezione di vitalità per il Cattolicesimo attuale, che ha anche lui non pochi guai, tra i nemici esterni della clash of civilization più o meno palese, e il grande «boh» interno di secolarizzazione e nichilismo? Così sembra intenderla de Certeau. Dovere del cristiano è «sperare contro ogni speranza». Semmai salvare il salvabile all'interno del cattolicesimo stesso. In Germania Favre non trova il tempo per dialogare con il luterano a lui più affine, Filippo Melantone, perché è molto «preso dal mio compito coi cattolici». Denuncia che a Worms non si insegna il catechismo ai fanciulli, denuncia la carenza di preti, e che molti di essi hanno delle concubine. Il dotto umanista noto per la cultura enciclopedica e «la deliziosa dolcezza dei rapporti» si indigna per la troppa vocazione al compromesso degli stessi cattolici.


E se la figura di un personaggio essenziale ma sottoesposto come Favre fosse una chiave per interpretare il pontificato di Bergoglio che ne ha universalizzato il culto? Forse, tra i titoloni sulle presunte «aperture», gli entusiasmi e i malanimi per le presunte posizioni di sinistra, i selfie e le telefonate, vale questa citazione di Favre per definire Bergoglio: «Occorrono argomenti di opere e di sangue. Le parole ormai non bastano più».

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