Controcultura

"Ho creato House of cards perché governare è un mestiere sporco"

L'intervista a Michael Dobbs: è Lord, ex braccio destro della Thatcher e autore di best seller, "ma per relax guardo Montalbano..."

"Ho creato House of cards perché governare è un mestiere sporco"

Per i suoi servizi alla Lady di Ferro è stato nominato Lord. House of Cards lo ha consacrato maestro del thriller politico. Tra incubo e premonizione, con Il giorno dei Lord (edito da Fazi) Michael Dobbs inaugura una nuova serie, con protagonista Harry Jones, ex militare ribelle e anticonformista, che dovrà sventare un attentato terroristico a Westminster. Un romanzo corale che si dispiega attraverso piccoli particolari, insospettabili. «Scrivere libri per me resta un processo difficile e faticoso. Ma che affronto con entusiasmo perché mi piace. Nella vita bisogna sempre ascoltare il proprio cuore. Uno dei miei quattro figli vuole fare l'attore, un mestiere folle. Ma gli ho consigliato di provarci, per non avere rimpianti».

Come si prepara alla stesura di un romanzo?

«Ho un lungo passato in politica (per oltre un decennio, capo dello staff di Margaret Thatcher, ndr) e molti dettagli mi sono familiari. Mi documento molto, più conosci la materia e più livelli puoi inserire nella scrittura».

Il suo nuovo libro, Il giorno dei Lord, è un thriller.

«Sì, è certamente un thriller, e Harry un personaggio d'azione. Ma volevo fare qualcosa di diverso, stupire i lettori senza tradire quanto fatto finora. Volevo esplorare nuove aree. Voglio che i lettori si interessino a Harry non solo per quello che fa ma anche per quello che è, un soggetto di enorme interesse».

Quando ha deciso di diventare uno scrittore?

«Prima dei 40 anni, quando ero vice-presidente di una grande società. Guadagnavo tanti soldi, ma una mattina ho sentito che dovevo cambiare vita. È stata una scelta illogica per molti aspetti, eppure la più fortunata della mia vita».

Non ci aveva pensato prima?

«Mai. Da giovane sognavo di diventare Primo ministro. Poi sono cresciuto... Ma mi è sempre piaciuto leggere. Da bambino mi rifugiavo sotto le coperte e divoravo libri d'avventura, come L'isola del tesoro».

In età adulta quali sono state le sue letture?

«In passato leggevo soprattutto thriller, spy story, autori fantastici come John Le Carré. Oggi ho allargato lo spettro, leggo di tutto, saggi storici, fantascienza. Tutto ciò che può entrare in contatto con la mia immaginazione e farmi sognare. Un libro è un accesso dentro un nuovo mondo».

Al centro dei suoi libri c'è spesso il potere politico.

«Che per me significa soprattutto responsabilità. Senza il potere vivremmo nel caos, in una giungla violenta. Odiamo i politici ma, quando lavorano bene, ci aiutano a vivere meglio».

Viviamo in tempi di anti-politica.

«Abbiamo bisogno che i politici ci diano quella cornice dentro cui poter vivere la nostra vita. Il grande fallimento che sta vivendo l'Occidente è che chi ci governa impone le sue scelte dall'alto, senza capire, e neppure ascoltare, l'uomo della strada».

Eppure i politici nei suoi libri abbondano di cinismo.

«La politica è un mestiere duro, sporco, non per angeli. Se fosse un mestiere semplice, lo farebbero tutti. Invece solo in pochi hanno successo. E la politica richiede assolutamente cinismo. A proposito, mi viene in mente Renzi...».

Prego.

«Quando era ancora presidente del Consiglio, un giorno fu fotografato all'uscita di una libreria con una copia di House of Cards in mano. Ero molto colpito, così gli ho inviato una messaggio: Signor presidente. Spero che il mio libro le piaccia. Ma la prego: si ricordi che è letteratura, non un libretto d'istruzioni».

Quali caratteristiche deve avere un buon politico?

«La cosa più importante è avere una visione attorno alla quale costruire il consenso. E poi: riconoscere la realtà, ed essere pronto al compromesso. La politica è un lavoro di squadra. Non posso segnare sempre io, devo fare anche gli assist».

Nei suoi romanzi ama scavare nell'intimità delle figure politiche.

«I grandi politici non sono persone normali. Spesso sono ossessionati dai loro stessi obiettivi, disposti a terribili sacrifici pur di raggiungerli. È sbagliato vedere i politici come figure bidimensionali. Sono esseri umani tridimensionali, come noi. Soffrono, accusano dolori e ansie, come tutti quanti».

Lei ha lavorato per anni con Margaret Thatcher. Come la ricorderà la storia?

«Mi viene in mente cosa disse Mitterrand dopo il loro primo incontro: È una donna straordinaria, con le labbra di Marilyn Monroe, gli occhi di Caligola. Era dura, intensa, sapeva esattamente quello che voleva. Non era facile lavorare con lei. Non le interessava piacere, ma ottenere risultati».

Come è riuscita a governare il Regno Unito per più di 11 anni?

«La gente non la amava, ma la rispettava, che in politica è molto più importante. Non fare politica se cerchi conforto o abbracci. Molte volte Margaret ha messo a rischio la sua poltrona per le sue convinzioni. Ha avuto coraggio, e gli elettori glielo hanno riconosciuto».

Eppure il vostro addio è stato tutt'altro che sereno.

«È vero. Abbiamo avuto grandi dissidi alla fine, ma la politica è questa: devi mettere in conto che vivrai dolori e ingiustizie per cercare di realizzare le tue convinzioni. E preferisco ricordarla in quella notte del 1979: fui il primo a congratularmi con lei, non appena era diventata il nuovo Primo ministro».

La prima donna a capo di una democrazia occidentale.

«Mi sono ritrovato tante volte, magari alle due o tre di notte, con lei in vestaglia coi bigodini, per riscrivere i suoi discorsi. Mi chiedevo: cosa ci faccio qui con questa donna? L'ho vissuta in tanti momenti molto privati, nel dolore, nelle lacrime, con il marito Denis».

«La mia forza, il mio coraggio», lo ha definito una volta la Premier.

«Un uomo dotato di un'intelligenza pari solo al sense of humor. Un volta un giornalista gli chiese: Mr Thatcher, chi indossa i pantaloni a casa?. E lui, senza esitazione: Naturalmente io. E spesso mi capita anche di lavarli e stirarli».

Un umorismo tipicamente britannico. Cosa significa oggi essere britannici?

«Significa coltivare un interesse e un rispetto per la storia di questa isola. Significa avere un'ambizione, affinché si conservino benessere e prosperità».

Lontano dall'Europa?

«Mi reputo molto fortunato per essere nato in questo fantastico continente, con culture e lingue differenti. Ma l'Europa non è l'Unione europea, un'istituzione molto povera che sta fallendo, incapace com'è di governare».

Molti analisti prevedono conseguenze negative per l'economia britannica post-Brexit.

«Tutta spazzatura. Viviamo nel XXI secolo, non cambierà nulla. I commerci continueranno, così come il turismo. Pensate davvero che la gente smetterà di visitare Londra preferendole Istanbul?».

Finora i negoziati con Bruxelles sono stati estremamente complicati.

«Non nego che lasciare l'Ue sarà complicato, ci attendono molte sfide. Ma è stato un divorzio inevitabile, l'Ue è ormai anti-democratica. Non considero Jean-Claude Juncker il mio presidente, non lo posso votare né mandare a casa. Non conosce, né ha interesse a capire, le nostre esigenze o peculiarità».

Il Regno Unito vive forti tensioni diplomatiche anche con Russia.

«Putin non è una persona gradevole, ma è pur sempre il presidente eletto della Russia. Potremo avere una relazione differente, magari migliore, solo quando capiremo che la Russia non è, né vuole diventare, una democrazia parlamentare come la nostra. Noi dobbiamo ricordarci la lezione del passato».

Quale lezione?

«Abbiamo abbattuto il Muro di Berlino non con l'esplosivo o i carri armati. È stato smontato mattone dopo mattone, da gente normale che voleva quello che avevamo già noi. Siamo bravi in quello che facciamo, qui in Occidente. Ma ce lo dimentichiamo troppo spesso. Abbiamo vinto la Guerra fredda con la pazienza, la forza dei nostri valori e la consapevolezza di quello che facevamo».

Tra politica e scrittura, ha tempo di guardare la tv?

«Vorrei guardarne di più. Amo soprattutto le serie tv, che stanno vivendo la loro stagione d'oro, sono sempre migliori e più varie. Guardo tantissima televisione europea, i noir scandinavi, The Bridge, Wallander, Sparrow, Borgen-Il potere. Ma anche Montalbano...».

Cosa le piace di Montalbano?

«Sul mio iPad ho scaricato tutte le serie dell'ispettore Montalbano. Quando sono in treno e voglio distrarmi, lo guardo. Adoro il caos italiano, la leggerezza di certi suoi personaggi, il sole e la luce delle ambientazioni».

Le piace anche House of Cards?

«Come produttore esecutivo sono obbligato a rispondere che mi piace. Pensavo che Hollywood mi avrebbe masticato e sputato via dopo avermi pagato. Invece gli ultimi sei anni, professionalmente, sono stati i più felici della mia vita».

Avete appena girato la sesta e ultima stagione.

«Abbiamo fatto un grandissimo lavoro, molto diverso dalla visione britannica. Un po' mi dispiace che sia finito, ma ogni cosa ha una sua fine. E preferisco pensare a nuovi progetti. Resta il piacere di aver lavorato con grandissimi personaggi, come Robin Wright, Michael Kelly, con tutti i registi. Mi sento uno degli uomini più fortunati del pianeta».

Si è dimenticato di menzionare Kevin Spacey.

«Chi?».

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