Legge di Newton: il potere è Donna

Nelle opere del grande fotografo la miopia dei "sessualmente corretti" ha sempre visto il trionfo del maschilismo. Ma le immagini dimostrano il contrario

Legge di Newton:  il potere è Donna

da Parigi

Helmut Newton, celebrato oggi al Grand Palais con una mostra che semplicemente porta il suo nome (sino al 17 giugno), è il fotografo che ha lasciato al Novecento l’immagine meno femminile, a suo modo più cerebrale e più castrante della donna. A cominciare dalla moda che, nel momento in cui smise di essere per lui una fonte di lavoro, divenne soltanto un pretesto, l’elemento che serviva per sottolineare meglio un seno, un paio di gambe, un paio di natiche. Non un oggetto in sé, ma un semplice contorno a splendidi corpi ginnasticati su volti che non sorridevano mai, dove l’uomo era assente oppure sub specie di servitore, facchino, portiere d’albergo, lift, il tutto in un concentrato di tacchi a spillo, pellicce, giarrettiere, bustini, lingerie di seta, frammisto a frustini, selle da cavallo, sullo sfondo di giardini pensili, piscine strepitose, alberghi e case di charme dai soffitti altissimi, mobili preziosi, argenterie. Che siano foto degli anni ’70, ’80 o ’90, in realtà quegli scatti rappresentano un tempo senza tempo dove la modernità è data proprio da questa figura femminile, autonoma, autosufficiente e vincente che sembra fatta per il sesso come una mantide religiosa, la copulazione come orazione funebre. Sotto un tale profilo il femminismo, che fu per molti anni la sua bestia nera, si dimostrò singolarmente miope. Vedeva una donna vittima lì dove c’era invece una donna carnefice. Che poi fosse gratificante immedesimarvisi, be’, è un’altra storia...

C’è chi ha visto in questo un lascito dell’educazione tedesca, una specie di mistura fra il clima weimariano dell’Angelo azzurro di von Sternberg e quello hitleriano di una Germania filtrata dalla macchina da presa della Riefenstahl. Ma ciò che la sensibilità di Newton vi aggiunge è l’angosciante solitudine del Nuovo mondo, la spietata sicurezza di un culto del corpo slegato da qualsiasi altro fine che non sia la propria celebrazione, l’idea della ricchezza, della plutocrazia e del jet set, come realtà a parte, separata da quella dei comuni mortali, e dove ogni fantasia è permessa, la supremazia femminile come oggetto di desiderio su cui però nessun possesso è consentito che non sia cerebrale, voyeuristico, impotente. Nessun professor Unrath potrà mai impazzire per una donna di Newton, perché dietro di essa non c’è la seduzione. Nessuna eroina di Olympia della Riefenstahl la potrà incarnare, perché manca la paganità gioiosa, e l’idea di un destino. Se, come ha scritto il critico d’arte Jean Clair, «lo sguardo è l’erezione dell’occhio», la visione femminile di Newton è costellata di onanismi che non lasciano traccia.

Di buona famiglia, di buone letture, Newton arrivò al successo tardi, superati i quarant’anni, e dopo aver cambiato di continente, essere sopravvissuto a una guerra, aver fatto a lungo la gavetta. Esperienze che gli permisero di apprezzare la fama e il denaro che essa porta con sé senza rimanerne vittima. Niente droga, niente alcol, niente eccessi mondani. Fotografo di donne bellissime, rimase per tutta la vita sposato con la stessa moglie. Vestiva con il cattivo gusto casual dei tedeschi quando incontrano il modello di vita e di stile americano: t-shirt, giacche svasate, colori improbabili. Era daltonico, in compenso il bianco e nero delle sue foto è elegante, algido e lucente. «Penso che il colore sia troppo realistico: vediamo il mondo a colori. Nudi a colori ne ho fatti, ma è difficile rendere la pelle, la carne. Certi miei nudi, che sono molto osé, proposti in colore sarebbero inaccettabili».

C’è naturalmente chi si troverà a proprio agio in quel suo immaginario femminile dove il tacco a spillo è più un’arma che una scarpa, la fisicità più un fenomeno da palestra che un piacere della carne e l’elemento maschile più uno spettatore che un attore. Ognuno, in fondo, ha il sesso, l’idea di sesso, che desidera e/o che si merita. E altrettanto naturalmente ci sono le eccezioni, come in ogni buona regola, marchio di fabbrica, impronta d’autore che si rispetti. Nel 1973 Newton fotografa in una stanza dell’hôtel Nord-Pinus di Arles Charlotte Rampling. Gli elementi newtoniani ci sono tutti: il décor prezioso, un tavolo di noce, poltrone intarsiate, un grande specchio barocco alle pareti, tappeti... Nuda, seduta su quel tavolo, un bicchiere di vino in mano, un pacchetto di sigarette e un mazzo di chiavi vicino, l’attrice volge lo sguardo all’obiettivo come se fosse sorpresa.

C’è un misto di fragilità e di ambiguità, una sorta di celebrazione del proprio essere soli che non è però una barriera, pur senza essere un esplicito invito a romperla, l’esaltazione di un corpo, ma senza la squillante esibizione da body building... Mai la Rampling è stata così misteriosa e così sfuggentemente bella e Newton così totalmente, pacificamente conquistato...

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