Il male oscuro? Si può vincere girando un video anti-panico

In principio erano Giuseppe Berto e Il male oscuro, la storia triste e senza punteggiatura dello scrittore Giuseppe Marchi, depresso e vittima, fra l’altro, di attacchi di panico. Caso letterario, lodi da Montale e Sapegno, vittoria al «Viareggio» e al «Campiello», molti anni dopo anche un bel film di Monicelli, con grande interpretazione di Giancarlo Giannini. Adesso ci prova Rossella Canevari, con No panic (Newton Compton, pagg. 230, euro 12,90). Canevari era nota finora come scrittrice leggera, da chick lit: la letteratura per più o meno ragazzine, che ha Sophie Kinsella come epigona e modello di successo. Qui le cose cambiano e l’autrice mette in scena se stessa.
La voce narrante e quasi alter ego si chiama Bianca Buzzati, ha 35 anni e lavora in una casa d’aste. Fidanzata a Edo, suo analista, Bianca sguazza nel milieu dell’arte moderna e contemporanea, ha continui successi sul lavoro, sembra persino aver ripreso un rapporto decoroso col padre e con la giovane compagna di lui. Il racconto è vivace, Rossella Canevari definisce bene gli attori in scena. Ci sono appunto Edo, il gallerista omosessuale David Spalding, la giovanissima sorellastra Emma, adottata da Viola, compagna del padre di Bianca. Il resto è uno sfondo colorito e intanto già un po’ malinconico, come presago di catastrofe. Gli eventi, in fatto, precipitano. Càpita quando, a pagina 57, «dopo cinque anni, eccomi di nuovo nel mondo del panico. Sembrano passati anni dall’ultima volta. Questa sensazione mi getta nella disperazione più assoluta. Più mi ascolto, più sento il mio corpo reagire, pompare sangue ed eccessiva energia attraverso la pelle e la carne. Sono un filo attraverso cui passa l’elettricità e tutto questo processo mi sfinisce».
Da qui in poi, il romanzo percorre insieme due binari: da una parte la vita scintillante delle aste, dei quadri di grandi artisti con quotazioni assurde; dall’altra la paura della paura, cioè appunto quella degli attacchi di panico. A questa diade è dedicata la seconda parte del libro, che inframmezza alla narrazione il racconto di video, girati da Bianca in quasi 15 anni. Non che soltanto efficace, la soluzione fa apprezzare il talento di Canevari nelle variazioni di registro tonale. Si capisce che il mélo non le dispiace, tuttavia vuol mantenersi quanto più possibile esterna ai fatti, che pure racconta in prima persona. Un esempio, dal video del 1990: «L’inquadratura è stretta sul viso di Bianca. È quasi impossibile pensare che sia la stessa persona dei video precedenti. Pallida, occhiaie nere, magra, trasandata. Non parla, guarda in camera e cerca di respirare, cosa che non le riesce molto bene. È un anno che ha gli attacchi. Ormai ha capito che, ogni volta che capita, non sta per morire né per impazzire. Così ha smesso di correre al pronto soccorso».
Il romanzo chiude con un happy ending annunciato addirittura nel risvolto di copertina: non è quindi il caso di svelarlo in sede di rendiconto.

La postfazione dell’analista Gianluca Marchesini serve da introduzione tecnica al malanno descritto nel romanzo e si fa apprezzare per rapidità e concisione. Nessun pietismo, nessuna crudeltà in No panic: voglia di raccontare sì, e capacità di farlo anche.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica