Trastevere, oggi, è un quartiere che fa da cornice a una giovane e felice vita notturna. Difficile immaginare che covi un passato lontano non solo dall'euforia delle movide, ma anche dalla tradizionale oleografia romanistica, con i suoi bulli e il «colore» locale. Nel 1875 Raffaele Sonzogno, direttore della Capitale, il primo foglio italiano che dava le notizie di cronaca, fu ucciso a coltellate da un trasteverino, Pio Frezza detto Spaghetto. Il delitto e il processo che ne seguì appassionarono l'opinione pubblica per anni. Apparentemente, l'omicida intendeva fare un favore all'amante della moglie di Sonzogno, Luciani, un giovane dalle sfrenate ambizioni. Apparentemente: perché si scoprì che il delitto era in relazione con un secondo livello, politico, e poi un terzo, economico, e poi un quarto e un quinto... Insomma il classico complotto in cui la verità è solo una bugia che precede l'ennesima rivelazione.
Ne I sicari di Trastevere (ristampato da Sellerio, pagg 278, euro 13), ricostruzione storico-romanzesca del delitto Sonzogno firmata da Roberto Mazzucco (1927-1989), a scalare la ziggurat delle verità impilate sono un poliziotto e un giornalista. Il primo s'affanna ad arginare l'arbitrio di colleghi e superiori che vanno per le spicce («Verbale. Firma!» intima il questore al poveraccio che vuole incastrare). Il secondo, già braccio destro di Sonzogno, vorrebbe vendicarne la memoria.
Ci si perde un po' nel seguire le ricostruzioni dei due detective, ma la pagina di Mazzucco «tiene» grazie a una sorta di efferatezza letteraria estremamente gustosa.
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