Alla povera Italia serve una radicale riforma estetica

Basta una passeggiata. Altro che le chiacchiere defunte di quella banda ch’erano i verdi, o le ansie dei giornali. Dove il giorno prima si prevede che moriremo sommersi e quello dopo si predica che resteremo pure senz’acqua. Gli assurdi di tante statistiche mal stimate, non valgono quanto delle semplici passeggiate. Per capire il nostro autentico disastro ambientale basterebbe andarsene calmi per Roma, o girare per una campagna qualunque d’Italia. Perché così si capisce tutto; chiunque può accorgersi che esisterebbe un modo di pensare all’ambiente preliminare, non di sinistra; ma più radicale.
Chi per esempio vaghi per Roma, e arrivi all’Eur o nei quartieri sistemati dal fascismo s’accorge che ancora esiste là almeno un intento di forma, addirittura moderna e però lodevole. E invece quant’è stato costruito, vigente il regime democristiano o dei sindaci di sinistra, è volgare, senza forma. Come il paesaggio agricolo. Si ripensi alle foto di com’era splendida la forma delle campagne ancora negli anni Cinquanta. La strada alberata più bella del mondo fino a Monza, o quei campi a ritocchino nel Centro d’Italia, coi filari di vite tra ciliegi e olmi. Persino le squallide case coloniche erano perfette, rispetto a quelle costruite dopo. E che sistema più ecologico della mezzadria si è mai inventato in Italia? Col mezzadro che riportava su persino la terra fertile trascinata dalle piogge. Altro che la distruzione dell’humus, ovvero della fertilità, che il dar la terra ai contadini, ovvero arricchire coi finanziamenti statali i peggiori tra loro, ha indotto. Non v’è dubbio alcuno: si parli di ambiente urbano o agricolo, si stava meglio quando si stava peggio.
Di un altro ambiente non ha del resto senso parlare. Giacché non esiste ambiente lasciato intatto dall’intelligenza dell’uomo sia essa buona o sia cattiva. E però quella che ha distrutto la forma dell’Italia fino a oggi, dandoci con Veltroni a Roma le municipalità fatte di orridi palazzoni balconati anni ’70, non era buona. Come non sono tali le eliche a vento sulle colline. Proprio come nella Russia martirizzata dai comunisti, il vero danno all’ambiente l’hanno fatto in Italia i governi antifascisti. Non certo Mussolini.
Bisogna ripartire da questa preliminare, candida percezione subito ovvia a chiunque, persino a cervelli ovattati da canapa indiana. In Italia una vera riforma dell’ambiente deve essere estetica; e pertanto non può essere di sinistra. Perché quella stessa sinistra che predica un utile che serve a tutti, non solo protegge ormai solo gli snob; ma neppure concepisce che l’ambiente è prima di tutto forma. Ovvero l’ambiente, quello vero, è il venire alla luce di una idea vivente, di una civiltà alla quale l’utile, criterio meschino ma indispensabile, semmai poi, solo dopo si adatta. Come è stato nelle grandi civiltà italiane. E come invece oggi non è. Oggi al contrario l’ambiente viene pensato in forma residua, di risorsa da usare o proteggere. E fa rabbia il constatare come questa destra al governo insista in troppe di queste manie della sinistra.
Insomma la mia tesi è che la distinzione tra ambientalismo di sinistra e di destra implichi invece un’idea preliminare, e spirituale, dell’ambiente. La vista orrenda delle nostre città o delle campagne sussidiate offre il primo dei problemi da risolvere. Ma chi pensa la natura soltanto in forma di risorsa minacciata non può dargli soluzione. Quello degli ecologisti consueti è un pensare perverso, che fraintende tutto. Muta l’ecologismo in appendice di una teoria delle scarsità o di un’apocalittica marxista, fingendo che la natura esista in sé, quando invece è sempre una forma da mutare e conquistare al bello e al buono.

Servirebbe in Italia più che mai oggi la famosa frase di Novalis: quella con cui chiamava l’umanità al compito di formare la terra, ovvero di plasmarla in un destino altro da quello utilitario. Non basta smentire l’ambientalismo. Occorre finalmente adesso trovare una idea d’Italia nuova, di una forma d’ambiente, che non sia pensato solo come risorsa.

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