Qual è l'antidoto alla modernità? Un sano egoismo

Ci sono quelli che non hanno mai tempo e non si fermano mai. «È una perdita di tempo» ti dicono. Dove corrano e perché, è un mistero anche per loro stessi, visto che rimandano tutto a un futuro indefinito, quando finalmente potranno fare quanto, per mancanza di tempo, gli era stato a suo tempo precluso. Di solito muoiono prima, oppure in corso d'opera, ma se qualcuno sopravvive è solo per poter constatare che, purtroppo, non c'è più tempo... L'agile saggio di Armando Torno, Elogio dell'egoismo (Bompiani), ruota intorno a questo paradosso: abbiamo una vita limitata, ma ci comportiamo come se fosse eterna, ci illudiamo di riempirla di cose, e intanto la sprechiamo. Siamo troppo occupati a vivere per domandarcene il perché. Elogio dell'egoismo è quindi un vademecum per muoversi nel mare della modernità, dove a ogni istante le onde dell'ansia minacciano di sommergerci. Mai come oggi la libertà si confonde con la schiavitù. Prendiamo la comunicazione: siamo talmente interconnessi da aver perso il diritto a starsene per i fatti propri. Chi non ha un cellulare viene considerato un alienato, chi non utilizza un computer è fuori dalla catena produttiva, chi non chatta, non twitta, non facebookka, è un asociale. Eppure, come nota Torno, «se tutti possono scrivere a tutti, i computer e gli altri strumenti di comunicazione ricordati si trasformano in fogne».
Diceva Oscar Wilde che «la moralità moderna consiste nell'accettare il metro della propria epoca, il che per un uomo colto è una forma di immoralità delle più volgari». Uno dei «metri» della nostra risponde al nome di «flessibilità». Dobbiamo essere flessibili, è il nuovo mantra, e quindi cambiare, rinnovarci, aggiornarci. È un modo elegante per dire che siamo all'incanto, ovvero, come chiosa Torno, che «le continue alienazioni di noi stessi sono chieste da una società sempre più invasiva come condizione per lavorare o esercitare un'attività». Rimanere noi stessi, insomma, è un lusso, e come tutti i lussi si paga. Eppure, come osserva ancora l'autore, «i princìpi servono proprio a impostare le nostre azioni, a combattere nei momenti tristi sperando di raggiungere qualcosa che è preferibile al compromesso e alla vendita. Più si cerca di essere se stessi e più si è in pace con la propria coscienza. Un discreto esercizio dell'egoismo ci eviterà di vendere noi stessi come una merce e ci abituerà a consegnare all'acquirente soltanto una nostra maschera». Torniamo da dove siamo partiti. «Diffidate da coloro che non riposano mai» diceva il cardinale Carlo Maria Martini. «Bisogna sapere oziare» traduce Torno. Gli antichi romani lo sapevano talmente bene da contrapporre, sullo stesso piano dei valori, l'otium al negotium, il tempo libero dedicato alla vita privata a quello incentrato sulle attività. «Il verbo “fare” non sempre reca con sé bene e felicità, anzi sovente - nella società odierna - trascina e ingigantisce i problemi. Esercitatevi a ricavare ogni giorno tempo, utile per debellare affanni e preoccupazioni, o per fare quello che vi pare. Come è possibile vivere senza noi stessi?». Sostiene Torno che «l'egoismo ben temperato» non è altro che l'amor proprio, che poi semplicemente vuol dire trovare in noi stessi quella libertà che ci viene negata dalle circostanze e dagli impegni. «Non fuggire completamente nel nostro intimo, ma abituarsi a frequentarlo.

Secedere, occorre secedere, pensare a degli spazi di prudente distanza (che diventa in molti casi l'unica difesa) che vanno attivati fra noi e il prossimo, tra noi e lo Stato, tra noi e il lavoro». Era la regola di Bartleby lo scrivano immortalato da Melville: «Preferirei di no».

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