Più di cento libri. Ben oltre cento donne. Quale uomo non vorrebbe vantare un primato del genere? Inevitabile l'invidia dei più e la golosità dei biografi. David Lodge, che di quest'ultima categoria fa parte, oltre che di quella degli accademici e degli scrittori - e che aveva già dato prova di vocazione all'indagine di vite letterarie con Dura, la vita dello scrittore (Bompiani), dedicato alle idiosincrasie di Henry James - si è concentrato proprio su quel campione di donnaiolo narratore che fu Herbert George Wells, H.G. per gli amici, nel romanzo biografico Un uomo di fascino (in uscita il 5 settembre sempre per Bompiani, pagg. 690, euro 20).
Il romanzo inizia nella primavera del 1944: l'autore di La guerra dei mondi, La macchina del tempo, L'uomo invisibile e L'isola del dottor Moreau è rinchiuso ad Hanover Terrace 13, la sua casa di Regent's Park, mentre Londra è sotto i bombardamenti. L'escamotage narrativo è lo stesso usato per James: un'intera vita su cui esprimere un giudizio di fallimento o riuscita dalla prospettiva di una morte quasi certamente vicina (Wells morirà nel '46, alla soglia degli ottant'anni). Le orbite eccentriche della scrittura di Wells, però, simili a quelle di Stevenson e Kipling, che vanno da descrizioni iperrealistiche della classe operaia alle visioni enciclopediche di un futuro possibile, ne giustificano l'etichetta che gli venne affibbiata lui vivente: «l'uomo che inventò il domani». Impossibile ingabbiarle nei percorsi della storia letteraria così come la conosciamo, perché sono le visioni di un sostanziale autodidatta incapace di adeguarsi alle leggi del mondo, tanto da inventarne di nuove. Per questo è più affascinante per Lodge gettarsi a capofitto nelle amicizie famose, nelle battaglie politiche come fervente socialista e soprattutto nelle avventure sentimentali: «Non voglio morire, Pantera», confessa a Rebecca West, una delle sue amanti, scrittrice e femminista più giovane di un quarto di secolo, da cui ebbe un figlio, Anthony. «Nessuno lo vuole», risponde lei. «Lo so. Ma dobbiamo. Naturale che dobbiamo» recupera all'istante Wells. «Mi vergogno di me stesso».
Rebecca è solo uno degli affair di Wells, tutti profondi, tutti coltivati con il benestare della seconda moglie Amy Robbins, detta Jane, una delle sue studentesse, sposata dopo essersi separato dalla cugina Isabel Wells, che tradì in abbondanza allo stesso modo (in una delle interviste immaginarie del romanzo, a una domanda sulla verginità rubata alle giovani amanti e la sessualità conflittuale con le mogli, l'inguaribile seduttore Wells risponde: «Ero frustrato dalla frigidità di Isabel e mi vendicavo con infedeltà triviali. Ma questo non me la rendeva meno desiderabile»). Jane morì ben prima di lui, nel 1927, ma nel frattempo H.G. ebbe modo di coltivare una liaison con l'attivista Margaret Sanger, controversa leader del movimento americano per il controllo delle nascite, conosciuta dopo essersi opposto fermamente, via posta, alle sue convinzioni in materia di contraccezione; con la contessa e scrittrice Elizabeth Von Arnim, che chiamava «piccola E», e di avere una figlia da un'altra scrittrice, Amber Reeves, diciassettenne quando si conobbero. Forse la più intelligente di tutte, e per lui la più pericolosa e preziosa delle amanti, figlia e madre insieme. E rivoluzionaria nel sesso e nella caparbia ricerca della soddisfazione terrena quasi quanto lui: alla fine della guerra, e della sua vita, Wells è l'unico degli abitanti del quartiere a non essersi voluto trasferire in campagna per salvarsi. Certo che Hitler non l'avrebbe avuta vinta su di lui. E come avrebbe potuto, visto che ormai ogni finale possibile era stato da Wells immaginato e impaginato, ogni sviluppo tentato, e molte volte non soltanto in forma narrativa?
Il merito del romanzo, che sarà presentato al Festivaletturatura di Mantova (6 settembre, ore 19 «La letteratura completa la scienza» e 7 settembre, ore 14.
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