La cura del ferro a passo di gambero

Le conferme della crisi nera che continua ad affliggere il trasporto pubblico nostrano ormai non si contano più. L’ultima voce perfettamente in linea con questo coro di stonature è frutto del lavoro dell’istituto di ricerca Eurispes, che ieri mattina presso la Biblioteca Nazionale ha presentato il suo dettagliato «Rapporto Italia 2007». Nella sezione «Infrastrutture e mobilità» si legge senza possibilità di appello che «per quanto riguarda le linee di metropolitane e le tramvie veloci (o metropolitane leggere), sia in termini di popolazione servita che di estensione della rete, la dotazione nazionale è decisamente inferiore agli altri Paesi».
Un male diffuso che corre lungo tutta la penisola, ma che diventa cronico se si prende Roma come esempio e la si paragona alle altre principali capitali del Vecchio Continente: «Londra - recita il rapporto - dispone di dodici linee di metropolitana pesante per una estensione complessiva di 400 chilometri, mentre la rete di Parigi è tra le più avanzate d’Europa, con 14 linee, 210 chilometri e 294 stazioni» e costantemente si lavora per ampliare e migliorare il servizio.
Dentro il Grande raccordo anulare, invece, si procede a passo di gambero: lo testimonia un confronto della situazione attuale con realtà più o meno recenti, su tutte quella del 1992, anno dell’entrata in vigore della famigerata «cura del ferro». Le linee tranviarie da otto sono diventate cinque, considerando la soppressione del 3 e il mancato prolungamento dell’8, mentre negli anni ’60 a percorrere i binari erano addirittura in 14. La linea A della metropolitana oggi chiude i battenti alle ore 21 costringendo i turisti (e non solo loro) ad affidarsi molto spesso al caso, vista la totale carenza di indicazioni sui mezzi di superficie sostitutivi; la B, che com’è noto spedisce i convogli in deposito alle ore 23.30, quarant’anni fa restava in servizio fino a poco prima dell’1. Non va meglio a bordo delle ferrovie regionali: la Roma-Viterbo «riposa» quattro ore in più rispetto al passato e durante il giorno subisce continue cancellazioni delle corse, scatenando l’ira degli utenti; la Roma-Lido, che negli anni ’60 funzionava 24 ore su 24, oggi invece non concede nemmeno il bacio di mezzanotte. La palma di capolavoro assoluto spetta però alla Roma-Pantano: nonostante la recente ristrutturazione di 5 chilometri della tratta, è allo studio la possibilità di eliminarla del tutto. «Più che una cura del ferro - commenta sarcastico Fabio Desideri, capogruppo della Dc in Consiglio regionale - sembra una cura del sonno perché, chi ha governato in questi anni, ha dormito. L’impietoso confronto, infatti, non lascia adito a dubbi. Si possono ideare tutte le giustificazioni possibili, scaricare colpe e responsabilità, ma non negare l'evidenza». Evidenza che pone Roma in affanno rispetto alle «cugine» d’oltralpe, e che non concede nemmeno il sollievo di un qualche margine di miglioramento all'orizzonte. Anche il Cesmot, il Centro studi sulla mobilità e i trasporti, ha espresso la sua preoccupazione per questo stato di cose: «Sono altamente allarmanti i dati che emergono dal rapporto - si legge in una nota - e lo sono ancora di più se prendiamo in esame la situazione della mobilità romana, dove è possibile osservare una regressione del servizio tranviario, le solite due linee delle metropolitana in esercizio e un servizio ferroviario regionale che deve operare a supporto di quello urbano».


Eppure, come rileva l’Eurispes nella sua ricerca, il solo trasporto pubblico locale assorbe ogni anno la cifra considerevole di oltre 4 miliardi di finanziamenti pubblici. Il problema, con buona probabilità, sta tutto nella gestione.

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