"Davvero lei non è più una persona?". Il dubbio che divide il paese di Beppino

Viaggio a Paluzza, sulle montagne della Carnia dove è nato il papà di Elu. I suoi concittadini: "Questo limbo innaturale dura da tanti anni, ci spiazza"

"Davvero lei non è più una persona?".  Il dubbio che divide il paese di Beppino

nostro inviato a Paluzza (Udine)

Scordate il mare. Dimenticate la pianura. Non fermatevi nemmeno in collina. Perché per capire bisogna salire fin quassù, fino in Carnia, l’angolo più segreto della regione più remota d’Italia. È il Friuli di montagna, terra dolcemente aspra dove i volti sembrano scolpiti nella roccia, le mani intagliate nel faggio, mentre gli occhi sono di un azzurro unico, che è soltanto di qui, marchio di fabbrica rubato all’acqua del Tagliamento. Per non dire del carattere, al cui confronto quello degli «altri» friulani - ed è tutto dire - sembra malleabile come burro di malga. Bisogna salire perché è quassù che si può comprendere sia la mite caparbietà laica di Beppino Englaro, il papà di Eluana, carnico di Paluzza, sia il suo esatto opposto, impastato di una religiosità ruvida e profonda, fatta di pochi concetti e di ancor meno parole. Sono i due volti di un’unica gente - sarebbe meglio dire di una gente unica - che tuttavia riescono a convivere in armonia, rispettandosi sempre, senza quel vociare che arriva da laggiù, dalla valle. Fastidioso.
«Davanti a una simile tragedia siamo spaesati e imbarazzati, perché mentre condividiamo il dramma dei genitori, al tempo stesso non possiamo che continuare a chiederci se davvero Eluana non sia più una persona», sospira don Tarcisio Puntel, pastore di queste 2.400 anime. «Ma se incensiamo i corpi dei nostri defunti, se addirittura gli costruiamo sopra dei monumenti, perché mai non dovremmo avere almeno la stessa cura per un corpo che invece è vivo?», si domanda.
Del conflitto che sta lacerando uno di loro, don Tarcisio non ha mai parlato in omelia. «E non intendo farlo - assicura - perché non si possono innescare polemiche su un fatto come questo. Ne parlerò quando le acque si saranno calmate, le distanze ridotte e le incomprensioni appianate. Io sono sempre qui. Ho letto che per il papà di Eluana la Chiesa dovrebbe stare lontana dalla figlia e che non ci sarà funerale religioso. Non so se hanno riportato il vero, ma conta poco. Se lui vorrà seppellirla quassù, sappia che questo parroco è disponibilissimo, non c’è problema. E poi, perché mai Eluana dovrebbe stare lontana dalla Chiesa quando proprio la Chiesa, con quelle suorine, le è stata così vicina?». Aulo Maieron, il primo cittadino, si schiera tra coloro che definisce «solidali con Beppino, anche se magari sottovoce». Ma pur da laico qual è, ammette di sentirsi come tanti altri «di fronte a qualcosa che ci lascia in sospeso, perché altera la tradizionale percezione di ciò che per noi è sempre stata un’esistenza umana, ovvero il succedersi di nascita, vita e morte. Conosciamo anche la malattia, ma questo limbo innaturale che dura ormai da troppi anni ci trova impreparati, ci spiazza. Siamo gente genuina, siamo di gente montagna».
Anche chi entra ed esce dall’edicola-ferramenta-casalinghi e altro ancora di Battista Muser, negoziante nonché direttore, anima e cameraman della minuscola emittente Telealto But (il But è un torrente che passa di qui) sembra dividersi sul fatto del giorno, pur senza clamore. «Lo facciamo in silenzio: solidarietà umana da un lato e convinzione religiosa e morale dall’altro», sintetizza il pensionato Emanuele Plazzotta. Mentre per Elena Muser (solo un’omonima del negoziante), bionda e giovane insegnante, «in questa vicenda c’è forse troppa gente che vuole metterci il naso, arrogandosi il diritto di dire la propria su fatti altrui. Preferirei un po’ di silenzio».
A romperlo, il silenzio di queste montagne - e questa è una notizia, una buona notizia - ci ha pensato invece tre giorni fa, proprio all’indomani della sentenza della Cassazione, il primo vagito del piccolo Pietro, figlio di Germana, cugina prima di Eluana. Ed è risuonato alto tra quei «faggi e abeti» e sopra quei «prati smeraldini» cantati dal Carducci.

«È il segnale della vita che continua», commenta con un sorriso il sindaco. Quella vita che procede con le sue solite tappe, dalla nascita fino alla morte, senza innaturali sospensioni. Ovvero quell’unica vita conosciuta dalla «gente genuina» che vive quassù.

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