Roma Piove che dio la manda, mentre lo sfidante di Dario Franceschini fa il suo debutto ufficiale, e il temporale che si abbatte su Roma fa saltare il collegamento in diretta con le tv del Pd. La dalemiana Red tv, che naturalmente sostiene il candidato ex Ds, e la veltroniana Youdem, che invece sostiene Franceschini ma che ha voluto fare il beau geste democratico di dar voce all’antagonista, Pierluigi Bersani.
Per il quale la giornata era già cominciata bene, grazie a Debora Serracchiani e alla sua improvvida intervista a Repubblica, che è riuscita a irritare praticamente l’intero partito. «Ci toccherà portarla in giro con la museruola, tipo Hannibal the Cannibal», sibilava furibondo un supporter di Franceschini. Sarà stata la rivolta contro gli eccessi di «nuovismo» alla Serracchiani, sarà stata la macchina da guerra post ds che ha compiuto il suo dovere, fatto sta che al teatro Ambra Jovinelli ieri c’era il pienone. Un migliaio di persone, molte in piedi, e tanti applausi di vero sollievo (anche da D’Alema, seduto in prima fila) quando Bersani è arrivato al cuore del suo intervento, e ha iniziato a smontare pezzo per pezzo il partito «leggero» e a «vocazione maggioritaria» della stagione veltroniana. Proponendo un rassicurante ritorno alle origini, e un liberatorio «abbasso le primarie». Non è affatto questione di «partito vecchio o nuovo», dice il candidato, «la questione è essere o no un partito, con una ragione sociale, un’organizzazione, un radicamento, una disciplina». Che non possono essere sostituiti da «leadership mediatiche». La «sovranità» del partito (compresa l’elezione del segretario) deve tornare agli iscritti. Le primarie devono valere solo «per scegliere i candidati alle cariche monocratiche»: sindaci, presidenti di regione, premier. E in quest'ultimo caso, il candidato va scelto da tutta la coalizione, visto che il Pd «da solo non può fare nulla», che le alleanze sono necessarie e che il primo compito del partito è quello di «riorganizzare il campo dell’alternativa» al centrodestra.
Parole che sono balsamo sulle ferite di tanti militanti, quadri e dirigenti, soprattutto di origine ds. Anche se si notava ieri, nella platea dell’Ambra Jovinelli, la presenza di diversi pezzi da novanta dell’organizzazione ex Ppi, come Oliverio o Fadda: un segnale, a detta di molti, di come la vecchia volpe Franco Marini, ufficialmente schierato col suo pupillo Franceschini, si tenga pronto ad ogni eventualità. Anche a quella, sulla carta assai probabile, di una vittoria congressuale di Bersani grazie al richiamo della foresta degli ex Ds, che non hanno molta voglia di farsi guidare da un segretario post-Dc.
Bersani dunque è in campo, e Franceschini (archiviato il sollievo per la rinuncia di Chiamparino) dovrà fronteggiare un avversario ostico, che può contare più di lui (e di Veltroni) su apparato e iscritti, grazie all’Emilia e alle regioni rosse e ai potentati del Sud: da Bassolino a Pittella alla Puglia dalemiana. Facile prevedere che si aprirà anche lo scontro sull'accesso alla tv, necessaria per il secondo round, quello delle primarie: «Dario si deve scordare che d'ora in poi ai Tg ci vanno solo lui, Sassoli e la Serracchiani», avvertono dal fronte bersaniano. Oggi tocca a Veltroni, che a Roma lancia il suo manifesto pro-Franceschini e risponderà a Bersani.
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