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«Devastante se la Consulta dicesse sì a Ciampi»

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«Devastante se la Consulta dicesse sì a Ciampi»

Emanuela Fontana

da Roma

Si alzano altri muri tra il Quirinale e via Arenula. Dopo la ferma presa di posizione del presidente Carlo Azeglio Ciampi con il suo ricorso alla Consulta per affermare che il Guardasigilli non può negare la grazia, il ministro Roberto Castelli risponde senza accenni di diplomazia: «Il ricorso alla Consulta potrebbe avere effetti devastanti, altro che la nostra riforma della Costituzione...». Il sì della Corte Costituzionale al ricorso dell’avvocatura, spiega il ministro leghista, impedirebbe al ministro della Giustizia di intervenire in materia di grazia sulle decisioni del Quirinale. E avrebbe ripercussioni anche sul ruolo del capo dello Stato, che diventerebbe una sorta di «superpresidente», senza pareri vincolanti dei ministri: «Avremo un capo dello Stato - ha riflettuto ieri Castelli - con poteri enormi, che neanche il presidente degli Stati Uniti ha». Il conflitto è ormai aperto. E ancora una volta tocca a Palazzo Chigi il tentativo di mediazione: come aveva fatto per la sostituzione lira-euro proposta dalla Lega, quando nei giorni scorsi il Carroccio aveva chiamato in causa Ciampi e Berlusconi se ne era dissociato, ieri il premier ha sensibilmente preso le distanze da Castelli, cercando di minimizzare la diatriba: «Effetti devastanti? non credo - ha precisato il presidente del consiglio zittendo il Guardasigilli -. È una decisione della Consulta, non posso intervenire e fare commenti. La Costituzione è accettata da tutti noi come legge fondante e fondamentale del nostro sistema, non vedo che effetti potrebbe avere».
Il ricorso, trasmesso dall’Avvocatura su ispirazione del Colle alla Corte Costituzionale, parte dal veto che lo scorso novembre Castelli aveva posto alla trasmissione dei provvedimenti di grazia di Ovidio Bompressi e indirettamente di Adriano Sofri su cui Ciampi si doveva pronunciare. Il ministro non può ostacolare le decisioni del presidente della Repubblica, è il succo del ricorso presentato alla Consulta. La reazione di Castelli è stata durissima: «Quando ci si mette a giocare con la Costituzione - ha attaccato - si può dar vita alla famosa eterogenesi dei fini». L’effetto sarebbe devastante nel caso di un sì della Consulta, ha ribadito Castelli, perché al capo dello Stato verrebbero attribuiti tutti i poteri contenuti nell’articolo 87 della Costituzione, «ma senza un ministro proponente» che possa arginarne le prerogative. «Sono davvero curioso - ha aggiunto il ministro leghista - di leggere il ricorso del presidente della Repubblica per capire come faranno ad estrapolare solo il potere di grazia dell’articolo 87».
Un fiume in piena di polemiche si è abbattuto in pieno su Castelli, che ha avuto soltanto la Lega dalla sua parte a difenderlo, con il ministro delle Riforme Roberto Calderoli che ha ribadito i suoi stessi concetti: «Se la Consulta dovesse dare ragione al ricorso - ha ipotizzato Calderoli - si cancellerebbero più di 50 anni di storia costituzionale».
Per quanto riguarda l’opposizione, se il Verde Alfonso Pecoraro Scanio chiede addirittura le dimissioni di Castelli, dagli altri partiti arriva una difesa a spada tratta del capo dello Stato. Per il sindaco di Roma Walter Veltroni il ministro ha pronunciato frasi «molto gravi e implicitamente offensive per il Capo dello Stato». Per Gianfranco Pagliarulo, della segreteria del Pdci, il Guardasigilli «si ritiene la Consulta», la diessina Anna Finocchiaro,sottolinea l’apertura di un grave «conflitto con Ciampi», Giuliano Pisapia, capogruppo di Rifondazione in commissione Giustizia, parla di «previsioni apocalittiche» del ministro. Molto critica anche l'associazione nazionale magistrati: è «devastante e lacerante» secondo il vicepresidente Carlo Fucci non il ricorso ma il pensiero di Castelli.
È stato dunque lo stesso ministro a chiarire successivamente che non è sua intenzione aprire polemiche, che «i miei detrattori possono dire quello che vogliono», ma che un eventuale sì della Consulta «pone un problema di assoluta rilevanza e portata». Se per tutti gli atti del capo dello Stato «la controfirma di un ministro è un atto dovuto», ha spiegato il Guardasigilli, «si pongono dei grossi problemi.

Non c’è il minimo dubbio».

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