An deve dire qualcosa di destra

Quattordici anni di fila dalla segreteria del vecchio Msi, la destra emarginata, alla «nuova» presidenza di An, la destra ritrovata: un grande avvenire dietro le spalle per Gianfranco Fini?
Ora che è cominciato il conto alla rovescia per l'Assemblea nazionale di Alleanza nazionale - l'appuntamento in rima - si moltiplicano le manovre sul «partito che verrà». E in molti, per ridisegnare la destra del futuro, ne ripescano il nostalgico passato di Fiuggi, chiedendo una seconda e pimpante svolta. Altri puntano invece (o inoltre) a condizionare la guida di Gianfranco Fini, il solitario leader massimo che è al minimo di consensi nel partito, ma che nei sondaggi d'opinione continua a raccogliere le adesioni più alte: il paradosso della destra al governo.
Eppure, mentre An s'accapiglia alla ricerca dell'identità perduta, o mai avuta, tutto intorno è cambiato. Alle elezioni del 2006 il centrosinistra si presenterà con una formazione che, per la prima volta nella storia politica della Repubblica, sarà stata plasmata dalle cosiddette primarie. Discutibili fin che si vuole, perfino divertenti, tali primarie, dato che s'annunciano (a oggi) sei candidati in lizza; comunque una novità. Romano Prodi o Walter Veltroni, alla fin fine in corsa per palazzo Chigi? E quale ruolo per il ri-emergente Francesco Rutelli? E Piero Fassino s'accontenterà di continuare soltanto a portare acqua all'altrui, ancorché vicino, mulino? (All'opposto di Fausto Bertinotti, che dovrà coltivare l'orticello dell'alleato anziché il proprio, nella speranza di vincere facendo vincere la coalizione).
Analogamente, il centrodestra s'avvia verso una «fase costituente» che presto o tardi sfocerà in un solo raggruppamento alleato o federato con la Lega. E sarà il programma la cosa più interessante da osservare. Soprattutto in due campi, l'economia e la sicurezza, che rappresentano i temi di maggiore preoccupazione per i cittadini, e che meglio si prestano (o dovrebbero prestarsi) a far risaltare la differenza fra una prospettiva di governo di centrosinistra e un bis del centrodestra. Beninteso: se il bipolarismo non è ancora una parolaccia, tipo «inciucio».
Dunque, invece che pensare ai casi suoi, An farebbe bene a riempire di contenuti questa supposta ma necessaria differenza. Per esempio proponendo agli alleati una ricetta per rilanciare la produttività del e nel Paese. E un'altra ricetta per far valere la «certezza della pena». E un'altra ancora per indicare se è meglio il punto di vista europeo del vecchio e bollito Jacques Chirac o quello del non più nuovo ma prorompente Tony Blair. E poi una certa idea dell'Italia: c'è il sogno liberale di Forza Italia, c'è il sogno solidale dell'Udc, c'è il sogno devoluzionario della Lega e la destra è senza sogni, pur dormendo da quattro anni nelle stanze non proprio scomode delle istituzioni.
Se manca l'alba di una «nuova frontiera», i dissensi sulla leadership o le polemiche contro la previsione del partito unitario del centrodestra sono ridicoli. Se nulla e in nulla si distingue più la destra dal resto della compagnia, non c'è ragione alcuna per dispetti da separati in casa. O per richiamare Fini all'ordine, se non si ha un progetto di legge e ordine. O per fare la conta delle correnti, se da tempo si naviga a vista nel mare aperto della politica. O per ripetere che l'ideologia è morta, il banalmente corretto. Ma qui scarseggiano gli ideali.
Gli americani, che sono gente piuttosto pragmatica, probabilmente chiederebbero alla destra in ebollizione: «Where is the beef?», dov'è la carne, dov'è il sostanziale contenuto di una contesa altrimenti incomprensibile?
Domanda non inattuale, posto che le idee di destra sono state, nel frattempo, ampiamente sdoganate, e che molte battaglie una volta «di destra» sono ormai patrimonio politico di tutti nella Nazione: dal presidenzialismo nelle istituzioni con sindaci e governatori d'ogni tipo eletti direttamente dal popolo all'esercito di professionisti. Dal voto per gli italiani all'estero alla consapevolezza del made in Italy da tutelare. Dalla necessità di una moderna intesa con l'America al dovere antico di un'attenzione generosa per i drammi del Sud del mondo.
L'interrogativo brutale e bruciante a cui la destra italiana dovrebbe finalmente rispondere è molto semplice, in fondo: a che serve un partito di destra quando le idee di destra ormai camminano sulle gambe di personalità e di forze politiche le più diverse tra loro? E camminano persino sulle gambe, mai così atletiche, del popolo sovrano che sorpassa, ignorandolo e affondandolo, il referendum «progressista» sulla fecondazione artificiale. Delle due paroline - «destra nazionale» - oggi è più importante l'aggettivo del sostantivo. La leadership di Fini non è né il problema né la soluzione, se An non coglie lo spirito nuovo del tempo che cambia.
f.

guiglia@tiscali.it

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