La difesa non è legittima, ma l’offesa sì

Caro Granzotto, lei parla di buon senso auspicando che certi pm ne prendano atto e amministrino la giustizia nei confronti di chi subisce un attentato come quello accaduto a Giovanni Petrali e reagisce con l’autodifesa. Io invece prendo atto che non è la prima volta che questa giustizia lavora al contrario, incentivando i delinquenti tanto da far sembrare i loro disgraziati comportamenti marachelle impunibili, tanto... Questi giudici dovrebbero smetterla di pensare che la giustizia è un’opinione personale. Esprimo non solo il mio pensiero, ma anche quello di tanti cittadini onesti che non vorrebbero mai ricorrere all’autodifesa ma che, in una non augurata simile situazione, diventerebbero tabaccai, anzi lo sono già.
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Sembrerebbe proprio che la giustizia, o quanto meno la sua parte più rumorosa, si interessi solo di mafia e di Berlusconi, caro Rossi. Mentre ciò avviene, certi reati sono stati in pratica depenalizzati, nel senso che rimangono impuniti fino al 97 per cento. È il caso del furto. Per quel particolare furto che è la rapina, andiamo un po’ meglio, se così si può dire: oltre l’80 per cento dei rapinatori la fa franca. I delitti dei quali sono rimasti impuniti gli autori ammontano, annualmente, a qualcosa come due milioni e mezzo. Cifre che danno la netta sensazione di esser tutelati per quanto concerne le attività mafiogene e la tremenda minaccia rappresentata dal Cavaliere. Ma inermi e vulnerabili alla quotidiana, capillare e micidiale offensiva di quella che sbrigativamente è liquidata come minicriminalità. Robetta (vadano però a dirlo al tabaccaio rapinato o all’anziana pensionata scippata, che è faccenda «mini», di poco o nessun conto). Né è di consolazione sapere che le spese per le intercettazioni - ritenute il più valido strumento per «fare giustizia» - aumentino progressivamente di anno in anno, e si parla di centinaia di milioni. Quel lusso è principalmente destinato alle indagini e procedimenti giudiziari riguardanti la maxicriminalità: mafia e Berlusconi.
Eppure, con questi chiari di luna, la legittima difesa è più o meno ancora considerata un crimine. E quando qualche magistrato di buon senso che si limita ad amministrare la legge riconosce la legittimità di una difesa, ecco che subito un secondo lo smentisce. E nel nostro ordinamento giuridico ha sempre ragione chi sentenzia in seconda battuta. Chi lo fa in prima, è un cretino. Nella migliore delle ipotesi, un perditempo. Fatto sta che ogni volta che un cittadino reagisce all’aggressore e per non finire massacrato quando non cadavere estrae la rivoltella, ecco che salta su il maestrino di turno ad ammonire che non ci si può fare giustizia da sé, che questo non è il Far West eccetera. A parte il fatto che con il 97 per cento dei delitti impuniti ci sarebbe da chiedersi chi la fa, la giustizia, la legittima difesa è altra cosa dal voler condannare personalmente e brevi manu l’autore di un crimine. Vuol esattamente dire quel che vuol dire: difendere la propria pelle. Che evidentemente è ritenuta meno importante della pelle dell’aggressore. Per il quale il magistrato è capace di trovare mille attenuanti, che partono dall’infanzia difficile e vanno al disagio sociale e allo stato di necessità. Versione, quest’ultima, del marxista «a ciascuno secondo i suoi bisogni», precetto che ha anche indorato, dandole un tono democratico, la così detta spesa proletaria, cioè il furto. Per la vittima, al contrario, niente scuse. Inutile dire: «Ma quello mi puntava la pistola al volto». La risposta è: «Ha sparato? No. L’ha uccisa? No. E allora che vuole?».

Un valente giurista ebbe a dire, a proposito della legittima difesa, che è sempre meglio un brutto processo che un bel funerale. Non mi sono mai trovato, per mia fortuna, nella necessità di dover scegliere fra l’uno e l’altro. Ma credo proprio che nel caso, come lei, caro Rossi, in quel momento mi sentirei tabaccaio.
Paolo Granzotto

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