Claudia Passa
da Roma
Poche ore al fischio dinizio, una buona notizia per gli appassionati di calcio, un motivo di preoccupazione per polizia e carabinieri chiamati a fronteggiare loffensiva ultras. Lultima analisi della Digos è impietosa: questanno la macchina della violenza rischia di correre più del previsto, offuscando i bengala tirati a Dida, i fumogeni a Totti, le decine di feriti dopo Liverpool-Juve, i diffidati a centinaia post Lazio-Livorno o, per scendere di categoria, alle mischie in C1 nel derby Teramo-Chieti o alla sospensione dellincontro, con arresti e feriti, di Melfi-Potenza: serie C2.
La macchina ultras ha i motori a mille, è già messa a punto con scontri pre-campionato (vedi Juve-Roma, amichevole a Pescara) alimentati da note controversie calcistico-giudiziarie: barricate su Torino per lesclusione dalla serie A e per la scalata societaria, lexploit dei tifosi messinesi a bloccare i traghetti sullo Stretto, una riedizione degli scontri del G8 a seguito della retrocessione «forzata» del Genoa in serie C. Al grido di «tolleranza zero» si cerca di porre freno a unescalation del terrore che vede in trentacinque sigle ultras su 326 il suo pericolo maggiore. Gli analisti delle «squadre-stadio» descrivono la violenza da curva (dentro e fuori gli spalti) come una costante in espansione dove il ricorso ai tafferugli sfugge ormai alle motivazioni «tradizionali» (reazione a ciò che accade in campo, gli scontri fra tifoserie tradizionalmente nemiche, rabbia post partita se il risultato è avverso, atti vandalici causati dalleffetto-branco). Obiettivo principe, un po per tutti, è la divisa: celerini e carabinieri. Loro sono i bersagli, anche se il «contatto» con ragazzi dopposta fazione e luso delle lame (bandito negli anni 80 in un patto non scritto, ed oggi non più in atto) resta il fine privilegiato delle scorribande in casa, in trasferta, nellincrocio di treni carichi di tifosi in stazioni di transito.
Va bene il campanile, ma oramai si tifa anche per politica. Lo sanno bene certi giocatori-simbolo, come il laziale Di Canio (noto per il saluto romano nel derby) o il livornese Lucarelli e il messinese Zampagna (pugno chiuso sotto la curva). La risposta arriva innalzando croci celtiche e sponsorizzando un candidato alle regionali, oppure riproducendo striscioni no global, con stella a cinque punte, o con frasi oltraggiose per i morti di Primavalle e i martiri delle Foibe. A destra puntano una quarantina di gruppi (soprattutto Lazio, ma anche Roma, Inter, Juve, Bari, Ascoli, Udinese e lasse del Triveneto composto da Verona, Triestina, Padova e Vicenza, unica eccezione il Chievo), dichiaratamente a sinistra guardano in venti (fra Livorno, Empoli, Ternana, Ancona, Perugia, Fiorentina, Modena). A metà del guado, cinquanta e cinquanta, i tifosi di Bologna, Siena, Samp, Milan, Parma, Palermo e via discorrendo. Ma la legge del «rosso e nero» non è affatto un tabù: basti pensare agli scontri dello scorso maggio dopo la partita tra Fiorentina e Brescia, o allodio atavico fra le tifoserie romane e quella juventina, entrambe «nere». Dilaga pure il tifo per business: lucrando sui biglietti omaggio, sullorganizzazione delle trasferte (autobus e ticket) ricattando i club (soldi per non creare incidenti), mercanteggiando in curva con la vendita di fanzine, maglie, gadget, gestendo addirittura negozi di merchandising. Tutti contro tutti, ma dichiaratamente uniti, poi, nella lotta al «sistema», alle «istituzioni», alle «leggi anti violenza» o alle «diffide» che costringono a casa i più recidivi.
Sono tanti gli ultras monitorati dalla Digos, quasi 70mila.
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