DISPERATI «Avevamo consegnato allo Stato una bambina sana, bella e felice»

L'appello viaggia, come è ormai di prammatica, tramite Facebook nelle praterie virtuali di Internet. É l'appello di D., una ragazzina che fa la terza media in una scuola milanese. E chiama a raccolta i suoi amici perché subissino di mail il tribunale dei minori di Milano. Chiedete ai giudici, scrive D., di non farmi tornare in comunità. Fate sentire la vostra voce. Dite loro di lasciarmi vivere come ognuno di voi a casa mia con mia madre, mio padre e mia sorella.
È un tema delicato, quello dei minori sottratti alle famiglie in nome della loro stessa tutela. Nessun genitore, o quasi, è disposto ad ammettere di avere mancato così gravemente ai propri doveri da meritarsi l'allontanamento dal figlio. Il tribunale dei minori di Milano ha una tradizione di cautela e di professionalità. Ma anche qui, va ricordato, sono accaduti casi di allontanamenti ingiusti: come quello dei fratellini di Basiglio che vennero sottratti alla famiglia sulla base di relazioni degli insegnati e degli assistenti sociali che si rivelarono clamorosamente sbagliate, al punto che i loro autori vennero incriminati. E proprio in questo solco si muove la madre di D., che è da giorni impegnata in un braccio di ferro con la giustizia minorile, di cui il messaggio disperato della ragazzina su Facebook («è tutta farina del suo sacco - racconta la mamma - io non so neanche come si apre una pagina») è l'ultima puntata. Un braccio di ferro che era iniziato già a dicembre, quando la richiesta di poter passare almeno il Natale insieme era rimasta senza risposta. E proseguito in questi giorni, quando a D. è stata concessa una breve licenza per tornare a casa: e la ragazzina ha annunciato di non voler più tornare nella comunità milanese che la ospita.
Mentre D. lanciava il suo appello via Internet, la madre ha scritto alla presidenza della Repubblica e al nuovo governatore della Lombardia, Maroni, chiedendo un intervento.
La storia, si legge nella lettera inviata al Quirinale e in Regione, inizia quando «la notte tra il 10 e l'11 settembre 2012 la madre di una compagna di D. che noi non volevamo che frequentasse è venuta sotto casa nostra e ha portato via D. Il mattino seguente l'ha accompagnata da una sua amica assistente sociale e ci ha denunciato a me per abbandono di minore e mio marito per maltrattamenti». La ragazzina viene portata in comunità, prima in Piemonte, poi a Milano. Quando i genitori la rivedono non è più la stessa: «Noi genitori abbiamo consegnato allo Stato una bambina sana, bella e felice.

Lo Stato ha dato a noi una bambina che fuma, si fa le canne (il fumo lo prendeva nella comunità educativa), guarda programmi che esaltano alcol e sesso, non si fida degli adulti e delle istituzioni». E alla quale, raccontano, la comunità non ha nemmeno comprato i libri di scuola.

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