Lo champagne più famoso cala l'asso e dopo il millesimé 1999 e il Rosé 1996 è la volta dell'Oenothèque 1993, massima espressione della maison. Che con l'occasione cambia pure etichetta, ponendo l'accento sul celebre monaco benedettino: d'ora in avanti le bottiglie perderanno la dicitura Moët & Chandon - Epernay in favore di Dom Pierre Pérignon - Hautvillers. Non più la cuvée de prestige del colosso di Epernay, dunque, ma uno champagne di lusso con vita e storia proprie. E non si tratta di rinnegare il legame con la maison che gli ha dato vita negli anni Trenta, bensì di porre l'accento sull'individualità dello champagne e sulla connessione con Dom Pierre e l'abbazia di Hautvillers, dove questi ha operato nel XVII secolo.
D'altronde, Dom Pérignon è sempre stata una maison nella maison, con uve Pinot Noir e Chardonnay provenienti esclusivamente da selezionatissimi vigneti Grand Cru di proprietà, cantina di vinificazione indipendente e proprio staff tecnico. A guidarlo con successo da oltre un decennio è Richard Geoffroy, geniale chef de cave con un passato da medico. Sono il suo intuito e la sua innata sensibilità, uniti a un rigore tecnico di prim'ordine, a dar vita nelle annate eccezionali ad autentici capolavori.
E, di questi, solo la crème de la crème diventa Dom Pérignon Oenothèque, uno champagne che, dopo aver riposato a lungo nelle cantine sotterranee, svela tutta l'essenza, la struttura e la longevità propria dei Dom Pérignon. Parafrasando lo stesso Geoffroy, il rapporto tra l'Oenothèque e il millesimé è come due bambole matrioska: una contiene l'altra e ne nasconde i fini dettagli finché non verrà svelata.
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