da Parigi
La moda può rientrare nelle categorie dell'arte? È la solita domanda a cui nessuno riesce a dare una risposta sensata tranne stilisti come Marc Jacobs e Miuccia Prada. Profondamente consapevoli del nostro tempo che nulla crea ma tutto può trasformare in una nuova visione artistica, entrambi lavorano sulla contemporaneità. Le loro sfilate in passerella ieri a Parigi confermano quanto sia valido questo diverso approccio mentale alla moda.
L'americano che dal '98 disegna Louis Vuitton, il marchio più redditizio del Gruppo LVMH, ha dedicato la strepitosa collezione per il prossimo inverno a Jan Vermeer senza citare nemmeno uno degli indimenticabili capolavori del cosiddetto maestro di Deft. Invece la grande signora del Made in Italy ha costruito l'immagine della donna Miu Miu con le stesse logiche spiazzanti di Tobias Rehberger, l'artista tedesco a cui si deve tra l'altro un film che nessuno vedrà mai per intero perché dura 81 anni. Il risultato è a dir poco interessante in entrambi i casi. Nei modelli Vuitton, per esempio, non era citato nemmeno uno dei capolavori del cosiddetto «Maestro di Deft» anche se tutto ruotava attorno allo stesso sorprendente equilibrio cromatico accentuato dall'uso di nuovi materiali. Vermeer faceva di necessità virtù e non avendo soldi per procurarsi le preziose polveri con cui i pittori amalgamavano i colori, fabbricava le sue celebri tinte (azzurro spento, giallo limone e grigio perla) con tutto quel che trovava. Marc Jacobs che può spendere cifre da capogiro per costruire lo stile Vuitton si è invece divertito a mescolare plastica e coccodrillo, gomma e pelle da guanto, tessuti costosissimi con nylon e chissà quale altra fibra di sintesi per non parlare della sorprendente pelliccia di lapin cerato che invece sembra una stoffa coperta di piume bagnate. «Questa è una fabric-collection e la mia è una cultura da strada» ha detto infatti lo stilista dopo aver fatto sfilare le sue bellissime ragazze senza orecchino di perla, ma con una serie di modelli dalle forme semplici e altamente portabili come la classica casacca da pittore che diventa una giacchina corta davanti ma allungata e stondata dietro, oppure un bellissimo abito corto e scostato dal corpo. Tutte le modelle indossavano il tipico basco da artista in alcuni casi coperto da una specie di colata in plastica che rifiniva anche l'orlo dei pantaloni. E molte di loro sfoggiavano quelle borsette per cui il prossimo inverno bisognerà mettersi in lista d'attesa: con l'inconfondibile «toile monogram» della casa accoppiata a vernice colorata, coccodrillo laccato, pelliccia e pezzi di metallo.
Miuccia Prada è andata oltre utilizzando per i grandi classici del guardaroba femminile tipo il tailleur con la gonna a pieghe piatte, materiali dall'aspetto volutamente finto e gommoso. Si tratta della costosa riedizione dei cosiddetti tessuti cloqué in uso negli anni Cinquanta che a dire il vero ricordano il nylon imbottito e fastidiosamente elettrostatico delle vestagliette da poco prezzo. Quanto ai colori che la grande signora del made in Italy definisce «zuccherosi, intimisti e cosmetici» siamo davvero nell'iperbole della finzione. L'orrenda tinta delle calze contenitive che sembrano ma non sono trasparenti diventa quindi sensuale e femminile al massimo grado.
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