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DOPPIATORI I mille volti di una voce

Vivono e lavorano nell’ombra, ma decidono il destino delle star

Negli studios della Walt Disney a Burbank in California quella mattina c'era un sacco di bella gente. Dean Martin, Angie Dickinson, Jack Lemmon, Bob Hope. Hollywood nella terra dei cartoons. Ma Frank Sinatra cercava un italiano senza nome e senza volto, un'ombra nascosta chissà dove che, dicevano, avesse il brutto vizio di parlare a nome suo. Lo trovò in un angolo defilato, si conoscevano, lo salutò. Era da tempo che Frank voleva fargli quella domanda, il suo onore dipendeva tutto dalla risposta: «Giuseppe, voglio la verità. Ma tu mi doppi anche quando canto?...». L'altro lo guardò fisso negli occhi, la risposta lo fulminò: «Beh, sì, amico... è per questo che ti chiamano The Voice...». Giuseppe Rinaldi aveva cambiato mille volte identità da quando una delusione d'amore aveva messo in crisi la sua. Loredana lo aveva lasciato per fuggire nella notte in Argentina, il suo nuovo amore era il segretario personale di Peròn e lui per vendetta diventò tutto ciò che una donna poteva desiderare: il James Dean di Gioventù bruciata, il Paul Newman de Lo Spaccone, l'Omar Sharif del Dottor Zivago. Diventò la Voce, l’Enrico Caruso della scuola di doppiaggio più prestigiosa del mondo, il magnifico rettore della Oxford delle voci.
Gente misteriosa i doppiatori, vivono nell'ombra, sotto falso nome, fanno di tutto per passare inosservati, di loro spesso non c'è traccia se non nei titoli di coda, ma vi sfuggiranno anche da lì se non state attenti. E trovarsi faccia a faccia con loro a volte può essere choccante. Raccontano che a casa Amendola un giorno Claudio si presentò con un gruppo di amici per vedere una partita in tv. Nell'intervallo sul video spuntò la faccia di Ferruccio nello spot del detersivo che più bianco non si può. Era la voce di Robert De Niro, Dustin Hoffman, Sylvester Stallone. Ma quando lo videro sullo schermo gli amici si misero a ridere: «Mò, che tuo padre adesso s'è messo a doppià pure quello...». Con gli anni si sono fatti un sacco di nemici: Antonioni li odiava, Renoir li considerava degli assassini persino Nando Gazzolo, uno di loro, uno dei più grandi, si considerava falsario e traditore. Ma Fellini non poteva vivere senza quel coro e Germi recitava solo se a prestargli la voce era Cary Grant, cioè Gualtiero De Angelis, uno che stava al doppiaggio come Pavarotti alla lirica. Senza questa orchestra di fiati il cinema sarebbe rimasto muto o con i sottotitoli, che tanto fedeli nemmeno sono, grazie a questo coro di tenori, di bassi, di soprani, tutti hanno potuto vivere come dentro un film, anche senza sapere una parola di inglese, anche senza saper leggere e scrivere, senza perdersi uno sguardo, un'espressione del viso, senza perdersi l’incanto di un bambino.
Da Oxford sono uscite voci che ti restano dentro, che puoi sentire senza bisogno di ascoltare: Alfred Hitchcock, Woody Allen, Stanlio e Ollio, l'Orso Yoghi, la parlata di Forrest Gump, il Telefono casa di Et, il Marlon Brando del Padrino, l'Adriaaanaaa di Rocky che non fu gridata come tutti credono da Ferruccio Amendola ma da Gigi Proietti. È stata Oxford, tanto per dirne qualcuna, a trasformare la voce di Stanlio, che era profonda, e quella di Ollio, che era esile, nell’irresistibile contrario, fu Antonio Colonnello a inventarsi il «Wow» di Fonzie mai esistito in natura, è stato Tonino Accolla a creare dal niente la risata di Eddie Murphy. E se Marlon Brando e Clark Gable avevano voci che graffiavano gli specchi pazienza: era Emilio Cigoli in Via col Vento a dire «Francamente, cara, me ne infischio», era Sandro Iovino in Blade Runner a sussurrare «Ho visto cose che voi umani...», era Gianni Marzocchi in Apocalipse Now a gridare «Adoro l'odore del napalm alla mattina».
I doppiatori hanno le loro dinastie reali, i Windsor, i Borbone, gli Asburgo cioè gli Izzo, i Ward, i Rossi. E hanno storie che sembrano film. Cesare Barbetti era nato in alto mare, in una nave diretta al Cairo ancorata al porto di Palermo durante una tournée del padre, attore di operetta, e della madre che era scozzese e suonava la cornamusa. Rischiò di morire appena nato fu una balia a salvarlo quando tutto sembrava perduto. Chissà che voce avrebbero avuto Robert Redford e Steve McQueen senza di lui. E se Ollio è diventato Alberto Sordi, Mauro Zambuto la voce di Stanlio la usò nella vita solo per insegnare Fisica teorica e Meccanica quantistica all'università del New Jersey, un suo libro sulla struttura della materia è ancora oggi la bibbia degli studenti americani. Altro che stupìdo...
A Oxford vivono nel buio, in gabbie di vetro, anche nove ore al giorno: lavorano di fantasia per essere dove non sono, per incollare la voce inseguono gli sguardi. Con il moltiplicarsi di fiction, soap opera e telefilm, da 200 che erano sono diventati 3mila, le società più di 120. Si doppia tanto, si doppia in fretta, si fanno gare d'appalto per assegnare i film, spesso a decidere sono i preventivi. Oxford si è ritrovata stanotte all’Ariston di Sanremo per assegnare i suoi Oscar.

Bastava chiudere gli occhi per sentire Harrison Ford, Tom Hanks, Michelle Pfeiffer. Non alzano mai la voce ma guai a chi tocca il buon nome della scuola. Perché come dice Claudio Sorrentino: «In realtà sono Mel Gibson e John Travolta che prestano il volto alla mia voce...».

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