La legge sulla par condicio, come si sa, detta le regole per l'accesso dei soggetti politici ai mezzi d'informazione. Essa è sostanzialmente fondata sull'idea per cui gli italiani sono altamente suggestionabili dal mezzo televisivo e non posseggono sufficienti strumenti critici per difendersi dall'eccesso di messaggi politici provenienti dal video. Ha lo scopo di preservare la formazione di una libera e genuina opinione politica negli elettori, ma lo persegue con regole e regolette estremamente dettagliate, talvolta cervellotiche, talaltra lesive della libertà d'impresa delle emittenti considerate.
Essa si basa sull'idea che il pluralismo dell'informazione non dipende solo dalla auspicabile presenza di una pluralità di emittenti con identità politiche diverse, ma anche dal fatto che ciascuna di queste emittenti sia costretta, in misura più o meno forte, a dare eguale spazio, al suo interno, alle diverse posizioni politiche presenti nel dibattito pubblico.
Tutto ciò meriterebbe varie considerazioni, ma la lettera del Capo dello Stato al Presidente della Commissione di vigilanza sui servizi radiotelevisivi induce a concentrare l'attenzione su un altro aspetto. La legge distingue infatti al suo interno due discipline diverse: una che vale per i periodi non elettorali, e una seconda, molto più specifica e stringente, applicabile dalla data di indizione delle elezioni (in sostanza, perciò, a partire dallo scioglimento delle Camere).
Per il periodo lontano dalle elezioni, è richiesto che le emittenti radiotelevisive, pubbliche e private, assicurino a tutti i soggetti politici, con imparzialità ed equità, l'accesso all'informazione e alla comunicazione politica. Questo significa garantire ai diversi soggetti politici «parità di condizioni» nelle tribune politiche, nei dibattiti, nelle tavole rotonde e in ogni altra trasmissione nella quale sia rilevante l'esposizione di opinioni politiche. La parità riguarda anche i «messaggi politici autogestiti» dalle singole forze politiche, i cosiddetti spot elettorali.
È molto importante aggiungere che questa regolamentazione non riguarda invece la «diffusione di notizie» nei programmi d'informazione, e che questa espressione è stata intesa dalla Corte costituzionale in senso ampio, come possibilità di trasmettere notizie in un contesto narrativo e argomentativo che risale alla sola responsabilità della testata. In questo periodo, viene così consentito alle singole emittenti di qualificarsi attraverso l'affermazione di propri orientamenti, rispettando il diritto costituzionale di ciascuna a manifestare una propria specifica identità, anche politica
Dalla data di convocazione delle elezioni, invece, la comunicazione politica viene irreggimentata in forme molto più stringenti, che non ammettono eccezioni: si individuano nel dettaglio le tipologie di programmi politici, i soggetti tra cui ripartire gli spazi di accesso, ed è vietato, in qualunque trasmissione televisiva, fornire anche in forma indiretta indicazioni di voto o manifestare le proprie preferenze di voto. È soprattutto dettagliatissima la disciplina relativa agli spot elettorali, in omaggio alla deprecabile idea per cui lo spettatore italiano è, come recita un banale neologismo, un «vidiota».
Ora, la lettera del Capo dello Stato di cui si diceva non può ovviamente far altro che ricalcare la distinzione che la stessa legge opera fra i due periodi, quello lontano dalle elezioni e quello successivo allo scioglimento delle Camere. Perciò, attenzione ad evitare semplificazioni che rischiano di attribuire al Presidente della Repubblica una volontà che non potrebbe avere.
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