Un Dpef coraggioso per risolvere la questione Nord

Carlo Sangalli*

Qualche giorno fa, abbiamo tenuto, in Confcommercio, una tavola rotonda su uno dei temi forti della discussione post-elettorale, cioè l’interpretazione delle scelte di voto del Nord del Paese.
Le chiavi di lettura della cosiddetta «questione settentrionale» sono state naturalmente diverse. Ma mi sembra di poter dire che su un punto di fondo c’è stata una sostanziale convergenza. Dietro il voto del Nord, ci sono tutte le ragioni, le esigenze, le attese di un’economia e di una società che fa, ogni giorno, i conti con la competitività difficile e con la crescita lenta. E che chiede dunque - tanto alla politica, quanto alle forze sociali - un supplemento di responsabilità.
La responsabilità di scelte che consentano di mettere sotto controllo la spesa pubblica corrente e di riqualificare la spesa sociale; di contrastare e di recuperare l’evasione e l’elusione fiscale e contributiva, senza rinunciare - contemporaneamente - a costruire un sistema-Paese fiscalmente più competitivo; di chiudere il cerchio tra il federalismo istituzionale e il federalismo fiscale. E di vendere - perché no - un po’ di patrimonio pubblico per abbattere lo stock del debito.
Liberando, in questo modo, le risorse necessarie per aggredire il nodo del deficit di dotazione infrastrutturale, per sostenere ricerca e innovazione, per confermare la flessibilità di un mercato del lavoro, che sappia contrastare la precarietà, anche attraverso ammortizzatori sociali riformati.
Ecco perché alle domande del Nord - ma, ovviamente, non solo del Nord - si può e si deve rispondere con politiche che perseguano con determinazione l’obiettivo di accelerare il passo di crescita dell’economia italiana. Senza una crescita più veloce, infatti, anche il percorso del miglioramento dello stato di salute della finanza pubblica resta impervio.
È bene ricordarlo ora, perché si approssima la stagione di definizione del Documento di programmazione economica e finanziaria. A questo Documento spetterà il compito di delineare il quadro di riferimento per un’azione di Governo, che sappia consolidare e irrobustire i primi timidi segnali di ripresa dell’economia, ancora di recente confermati dalla Banca d’Italia.
Ed è bene ricordarlo anche perché sia chiaro che le scelte per la crescita e lo sviluppo sono la miglior risposta ai profeti di sciagura del Financial Times. Ma anche alle richieste di rigore (una manovra bis?) da parte del nuovo Governo, già venute dal presidente dell’Eurogruppo, Jean Claude Juncker. Che, poi, rispetto allo slittamento di un anno per la correzione del deficit concesso alla Germania, ha tenuto a sottolineare che l’Italie c’est l’Italie.
Insomma, occorre davvero un supplemento di responsabilità. Che porti a condividere - tra il Governo e le forze sociali e, secondo il metodo bipartisan, tra le forze politiche in Parlamento - un pacchetto di scelte qualificanti per la crescita e lo sviluppo. Il che - io penso - agevolerebbe anche il confronto con la Commissione europea su tempi meno stringenti per il rientro nei parametri di Maastricht.
Il contributo di proposta di Confcommercio alla formazione di queste scelte - delle scelte necessarie per sfuggire alla trappola della crescita lenta - sta nel segnalare le risorse delle imprese del terziario: del commercio, del turismo, dei servizi. Imprese che continuano - ed anche i più recenti dati Istat lo confermano - a produrre occupazione. Occorrono scelte che ne rafforzino la produttività. In particolare, con una politica che faccia perno su un modello di innovazione diffusa per l'impresa diffusa.


Un investimento «politico» su questa economia terziaria come volano per la crescita sarebbe, dunque, un buon modo per rispondere non solo alle domande del Nord, ma a quelle di tutto il Paese.
*presidente di Confcommercio

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