Roma - Con «Gino» non si scherza. Avrebbe dovuto capirlo almeno Piero Fassino. Nel 2002, nel pieno della campagna contro la guerra in Afghanistan, il leader ds cercò di liquidare il suo mito con una lettera «esorcistica» al Corriere della Sera: «Non sono un pacifista alla Gino Strada», scrisse, a metà fra scherno e scongiuro. Intendeva dire che Strada era «un pacifista integralista», mentre lui «pragmatico e responsabile». Mal gliene incolse. Il popolo della pace (fra cui moltissimi diessini), non colsero la sottigliezza. Erano i giorni in cui Strada, grande forgiatore di autodefinizioni brillanti («chirurgo di guerra») e slogan, aveva ideato il celebre «Contro la guerra senza se e senza ma» per triturare i se e i ma che consentivano alla sinistra riformista di tenere i piedi in due scarpe: sostenere gli interventi militari e partecipare ai cortei contro quegli interventi. Dopo la lettera al Corriere anche la difesa di questo ossimoro divenne impervia: Fassino durante un corteo entrò in via Amendola con una bandiera della pace al collo, fu inseguito, sputacchiato, fischiato. Fine ingloriosa: mezz’ora imbottigliato dietro gli «scudi umani» della Sinistra Giovanile, poi fugone per riparare fra le mura amiche del Botteghino. Il corteo, intanto, era tutto un tripudio di «Gi-no, Gi-no!».
Dovevano capirlo allora, i leader ulivisti, che Strada non è uno dei tanti intellettuali prêt à porter da usare come faceva Enrico Mattei coi partiti: salgo-pago-la-corsa-e-scendo. Gino si era fatto le ossa da cattivissimo, nel servizio d’ordine del movimento studentesco a Milano negli anni di porfido, per poi reinventarsi una vita. Il suo radicamento a sinistra è stato cementato dalla fondazione di un’associazione non governativa umanitaria - Emergency - e da due best seller autobiografici, Pappagalli verdi e Buskashi. Nel tempo in cui i libri dei leader ulivisti ammuffiscono tra le rese, qualche leader avrebbe dovuto leggerli, questi volumetti biancoerosso Emergency, editi da Feltrinelli. Strada ha penna epica e racconta storie dure: mine, morti, battaglie, bombe giocattolo, guerre dimenticate, bambini senza gambe e offre a una sinistra esangue un portafoglio di valori altrove introvabile. Così Emergency diventa molto più di una croce rossa «di sinistra»: sede di militanza, simbolo, persino un «logo» (trendy)con cui marchiare automobili, penne, agende. E poi c’è la corte di amici che contano, tra cui generosi finanziatori, come Massimo e Milly Moratti. E quando nel 2006 la sinistra da Palazzo Chigi si deve inventare (Rifondazione compresa) un nuovo ossimoro, per passare dal «pacifismo pragmatico» al «bellicisimo pacifista» (il sì a tutte le missioni), «Gino» torna da convitato di pietra e senza far sconti a nessuno.
Nel 2002 aveva creato un superpartito trasversale, da Sergio Cofferati a Giulietto Chiesa (sempre in tv con giubbino smanicato Emergency), da padre Alex Zanotelli a Gianni Minà, a Vauro (che per «Gino» ha lasciato il manifesto), al mistico Tiziano Terzani, uno che partecipando all’ultima manifestazione prima di morire, in Campidoglio, spiegava: «Non ho mai fatto nulla di politico. Ma mi hanno detto: “C’è Gino!”. E allora sono venuto...». Il fatto è che Strada ha quello che i leader dell’Unione agli occhi dei loro militanti hanno perso: chioma sale e pepe, carismatico, bello tenebroso - dogmatico, forse -, ma coerente.
Quando il governo dell’Unione arriva al primo voto sull’Afghanistan, riunisce la sua armata di firme su un appello feroce: «Chi vota la guerra è fuori dal movimento». Una durezza «ingenerosa», gli rimprovera Massimo D’Alema. O Arturo Parisi, che da ministro lo visita in Afghanistan, scatenando un incidente diplomatico, quando dice che Emergency è «protetta» dalla missione militare. Strada fu spietato: «Semmai è il contrario».
Certo non era lontano dal vero, se poi l’Unione lo ha scongiurato di trattare con i taliban per Mastrogiacomo. Gino il miracolo lo fa, ma non accetta la doppiezza di chi vuole negare la trattativa, e abbandonare il suo uomo in mano ai servizi di Karzai.
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