Due anni fa la norma che riduce (in modo drastico) il peso del fisco sulla parte aggiuntiva di salario contrattata in azienda e legata agli incrementi di produttività era passata nella quasi totale disattenzione. Robetta, si disse, unelemosina che non servirà a niente. E poi, altra aggiunta tra lironico e il velenoso (e il deprimente, che non guasta mai): che ce ne facciamo di una decontribuzione sul lavoro aggiuntivo e straordinario quando non cè neanche il lavoro ordinario? Un paio di stupidaggini e via, il commento era fatto e lidea innovativa era seppellita. Per la verità qualche esponente sindacale, tra quelli che ora si oppongono ai progetti di Sergio Marchionne, aveva intravisto nella norma sulla decontribuzione uno degli strumenti con cui si sarebbe potuto tentare di scardinare il micidiale scambio, tra bassi salari e bassa produttività, che ha sempre governato il sistema delle relazioni industriali in Italia. E aveva segnalato, ovviamente usando altri argomenti, meno diretti e più allusivi, quello che ai suoi occhi era un pericolo. Ma la stupidaggine (in questo caso per fortuna) tende spesso a prevalere e, quindi, la norma non subì specifiche contestazioni: si ritenne, appunto, di averla liquidata tra una battuta e un chissenefrega.
Ora Marchionne riscopre quella regoletta fiscale, il ministro Maurizio Sacconi lo aiuta alzando (con uno dei pochi provvedimenti di spesa sui quali non ha accettato imposizioni al risparmio) la soglia di reddito fino alla quale si può ottenere la decontribuzione e sulla produttività contrattata in azienda si costruisce la nuova stagione della Fiat in Italia. E su questo impulso viene anche messa in crisi la mancanza, drammatica, di regole per la rappresentatività sindacale. Nella stagione della concertazione non interessava a nessuno: tanto le rappresentanza era pervasiva, partiva da Palazzo Chigi e arrivava fino alle aziende. Ora che la Fiat ha rotto quello schema tutti si accorgono, allimprovviso, dellarticolo 19 dello Statuto dei lavoratori (che stabilisce chi e come abbia il diritto di tutelare i lavoratori in azienda) e delle sue successive modifiche, dettate, ironicamente, soprattutto dalla Cgil quando si trattò di stoppare il referendum radicale contro il prelievo automatico del contributo sindacale in busta paga.
Questa (non) breve premessa serve a capire bene due parole, farfugliate e non scandite, come sempre fa, ma evidentemente ben meditate da Marchionne. Sono le parole con cui ha descritto il modo in cui si è mosso il governo nelle ultime vicende legate alla Fiat. Il ruolo di Palazzo Chigi è stato «molto incoraggiante», ha detto Marchionne. Qui cè tutta la sua visione pragmatica e liberale: un governo non deve fare altro, né più né meno, che incoraggiare liniziativa privata. Guardate che questa non è una lezioncina di liberalismo economico, ma lindicazione di una pratica vincente. Il «di più» Marchionne lo aveva già scartato a suo tempo, quando aveva rotto sugli incentivi per lauto, chiedendo che non venissero rinnovati. Come dire: vendere le auto è affar nostro e ci dobbiamo riuscire con la nostra capacità. Mentre il governo aveva scartato il «di meno», cioè lofferta di una sponda ai settori sindacali che, fino allultimo governo Prodi, erano sempre stati in grado di influenzare in modo decisivo le scelte pubbliche.
È laddio (non a parole, ma con i fatti) alla concertazione: niente favori diretti alle imprese contrattati al tavolo di Palazzo Chigi (quindi via gli incentivi) e niente favori diretti ai mediatori sindacali. Rinunciare alla concertazione non significa mortificare il sindacato o isolare gli imprenditori. Significa, invece, restituire a ciascuno il suo ruolo. E se il linguaggio della concertazione era complesso da capire e da spiegare, in questa nuova stagione sta trionfando il parlar chiaro. Marchionne, le sue controparti sindacali (quelle che accettano il confronto con lui), e chi «incoraggia» da parte governativa, meriterebbero un premio dai giornalisti. Avrete notato che da un po di tempo a questa parte è diventato facile fare (e soprattutto leggere) i titoli sulle trattative sindacali.
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