E a cena Faletti svela l’ultimo libro

Tre lettori soci di Euroclub hanno vinto una serata a cena con lo scrittore. Che dispensa le sue ricette, culinarie e non

E a cena Faletti svela l’ultimo libro

Tre alieni fra di noi. Patrizia, novarese, impiegata. Ernesto, 63 anni, milanese, pubblicitario. Massimo, 37 anni, genovese, dipendente Pirelli. In questa nazione che sogna di vincere montagne d’euro al telequiz, al Lotto o al videopoker, in questa nazione popolata di giovanissime che bramano di diventare Simona Ventura e Samantha De Grenet, loro sono felici di aver sbancato una simbolica e squattrinata lotteria del pensiero: primo premio, a cena con lo scrittore. Per l’Italietta leggerotta di questa stagione, una notizia pesante. Qualche volta succede ancora, che l’uomo morda il cane.
Alla fortuna che li premia tra i 640mila soci di Euroclub, quella specie di massoneria letteraria riunita attorno al valore della lettura, si aggiunge la seconda fortuna dell’autore in palio: Giorgio Faletti, tre libri venduti in dieci milioni di copie, una trentina di traduzioni in giro per il mondo. Ma soprattutto semplice uomo di cuore.

Come tutte le cose serie per davvero, è una stranissima serata tutta da ridere. Ristorante storico milanese: Faletti al centro della tavolata, i tre premiati attorno, coniugi e manager editoriali a fare cornice. Né Patrizia, né Ernesto, né Massimo vanno considerati ultrà di Faletti, lato scrittore. Hanno comprato i suoi libri, hanno spedito la cartolina del concorso, nell’attesa dell’estrazione hanno letto i tre gialli.

Adesso non sono qui per tempestare di domande tecniche l’autore, ma per ascoltare. Perché un buon lettore ama ascoltare. In definitiva, leggere è ascoltare qualcuno che ha qualcosa da dire.

Faletti ne ha di cose da dire. Rispetto al genere tetro e macerato di tanti suoi colleghi, riesce ancora a dire come usava una volta, sui palchi del cabaret. La serata, un inedito nel panorama italiano, assume così le amabili sembianze di un cenacolo particolare. Un evento culturale, certo: nel senso più pieno e più lieve del termine, dove l’evento non sia necessariamente un macigno di noia e di accigliata mondanità, ma un’occasione di piacere e di confronto, in quel particolare stato che fa perdere la cognizione del tempo, portando tutti dritti a mezzanotte senza mai perdersi tra gli sbadigli.
Faletti non è Moravia, né ha intenzione di atteggiarsi al genere.

Patrizia, l’unica premiata donna, a un certo punto si permette: «Lei in certe cose è rimasto ancora bambino». Lo scrittore, comico, cantante, attore e tutto quanto il resto, ne risulta onorato: «Mi fa piacere, questa cosa: ho sempre cercato, con tutte le mie forze, di restare un po’ bambino...». Inevitabilmente, riecheggiano i tempi del Derby, di quel luogo e di quella stagione della comicità che hanno fatto storia, tra goliardia e baccanali, con i Teo Teocoli e i Massimo Boldi, i Claudio Bisio e i Paolo Rossi. Lo scrittore Faletti non dimentica e non rinnega. Per quella stagione nutre solo tenerezza. «Senza una lira, eravamo felici come miliardari. Poi qualcuno ha deciso di farci diventare milionari davvero, e allora forse abbiamo smesso di divertirci».

I personaggi dei romanzi entrano in scena raramente. Si va senza tema e senza rete. Faletti parla assorto del cibo e della passione per la cucina (oltre a tutte le altre qualifiche, ha pure questa, assegnata dalla lettrice Patrizia: marito ideale, perché prepara piatti divini. Soprattutto, prepara). Lo scrittore di grido racconta di come usi il cacao sulla vellutata di zucca, di come le sue origini astigiane gli impongano la cultura della bagnacauda, ricordando a proposito: «Mio zio Carlin ci metteva talmente tanto aglio, che con uno starnuto avrebbe espugnato Baghdad».

L’arguzia e la meditazione: questo, in fondo, è l’intellettuale Faletti. «Quando mi sono reso conto di essere famoso? Posso solo dire che quando cominci a porti questa domanda, è l’inizio della fine. Per fortuna, la vita mi ha sempre riservato le sue attenzioni: nel momento di maggiore euforia, subito una sberla. Così, dopo il successone dei libri, ecco le complicazioni dell’ultimo film, Cemento armato. Sapevo a cosa andavo incontro, ma lo rifarei: sono prove salutari».

Il signor Ernesto gli chiede del primo libro. «Guarda, il giorno dell’uscita ero in ospedale con un ictus. Da una parte i medici con aghi e cannette, dall’altra l’editore che mi aggiornava sulle 25mila copie subito vendute. In un caso e nell’altro, faticavo a comprendere la realtà...».

Si parla dei nostri tempi. Temi a cascata, in ordine sparso. La tv e i reality: «L’unico genio in circolazione è Ricci. Poi, che devo dire: la tv è un lavoro. Si fa per soldi, come tutti i lavori. Io però, dovendola fare per necessità, mi butterei sulle televendite. Pensa alla soap-opera: che soddisfazione può avere ancora Ridge, dopo vent’anni a quel modo?». La critica: «Fa il suo mestiere, però mi piace se aiuta a migliorare. Quello che mi ha fatto più male è Giorgio Bocca. Disse: oggigiorno, basta un Faletti qualsiasi».

Gli inizi dello scrittore: «Anch’io, come tanti, ho incontrato l’esperto che mi da detto: mediocre scrittura artigianale. Ma non bisogna prendersela. La storia del mondo è fatta di questi episodi. Una volta, in Usa, cercavano un sosia di Chaplin. Si è presentato lui in persona, è arrivato terzo».

Il successo: «Non l’ho mai cercato. L’ho sempre incrociato camminando lungo un mio percorso preciso».

L’amata Isola d’Elba: «Ci vivo da quattordici anni. Dalla finestra del mio studio vedo il tramonto. Mi piace quel luogo perché bastano tre paia di bermuda: uno l’hai addosso, uno l’hai in lavanderia, uno l’hai perché sei ricco. Certo, ho pure la barca. A motore, non me ne vergogno. I velisti li vedo sempre al bar in attesa: aspettano che si alzi il vento, oppure aspettano che cali il vento. E poi lasciamo stare “il sacro silenzio della vela”: ho fatto il diciottesimo su Mascalzone Latino, sembrava d’essere in fabbrica».

Il prossimo libro: «Sarà una storia di apartheid a New York. Non dico di più. Avevo un’idea geniale, ma avrei dovuto rimanere negli Usa due mesi per documentarmi. Il pensiero di due mesi ad hamburger non l’ho retto. Ho scelto un’idea che mi fermi lì solo un paio di settimane».

In un attimo, arriva l’ora della torta e del brindisi. «Moderatamente ubriaco», secondo onesta autodefinizione, Faletti trova le forze per un minidiscorso ufficiale, come un segno di inattesa emozione: «Sapete che vi dico? Grazie. Ho passato una serata bellissima».

I tre che l’hanno vinto alzano il calice. Leggendo libri, hanno accumulato quel minimo di saggezza per fare un calcolo elementare: se non si può centrare un Superenalotto che cambia la vita, è moltissimo gustare un incontro che cambia la serata.

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