Politica

E dove troverà i miliardi che servono?

Pare giusto che il presidente del Consiglio voglia rassicurare gli italiani che la manovra per mettere in sicurezza i conti dell’Italia non consisterà in nuove imposte. È anche bene che le misure di taglio delle spese, necessarie per dare fiducia nella nostra finanza pubblica, non cadano dall’alto, come una pioggia che si distribuisce a casaccio. E quindi si capisce la preoccupazione del premier Berlusconi per le notizie di tagli alla sanità, alle pensioni, alla scuola eccetera che compaiono nei media, con continui cambiamenti nella loro natura e nelle cifre, senza che ci sia ancora una decisione del Consiglio dei ministri. Ma c’è anche il rovescio della medaglia. Se non si mette mano alla sanità e alle pensioni e si adotta una linea dolce nel campo delle altre spese e strutture pubbliche che sono in eccesso, come si raccolgono i 28 miliardi che servono per la manovra di riduzione del nostro deficit pubblico al di sotto del 3%, tenuto conto che adesso esso è a quota 5%? E come si impedisce che il nostro debito, che nel 2007 era al 105-103% del prodotto nazionale lordo e che ora è al 115, salga verso il 120%? Come si realizza l’obiettivo di farlo flettere dal livello attuale, entro poco tempo, indispensabile per rassicurare non solo i mercati, ma anche i risparmiatori italiani?
Il Fondo Monetario nell’esaminare i conti pubblici italiani ha individuato nel settore sanitario il punto più debole, perché la spesa è in una crescita preoccupante. Non è compito del ministro dell’Economia individuare quali siano le aree in cui applicare i ticket sanitari, per porre rimedio agli sprechi e alle congestioni del servizio. Ma la misura è indispensabile. Prodi, per cercare di vincere le elezioni decretò nel 2000 l’abolizione dei ticket sui farmaci e perse lo stesso le elezioni. E allora avevamo un debito con meno problemi di ora. Anche Marrazzo, governatore del Lazio, fece una operazione antiticket e altre ne adottò per dilatare la spesa sanitaria, creando un deficit che ha portato al commissariamento della sanità laziale. Ora per il Lazio ci sono aumenti di imposte regionali. La Calabria ha un deficit sanitario pauroso e il nuovo presidente Scopelliti che ha ereditato questo deficit dovrà far fare duri sacrifici. È interesse dei cittadini, come utenti del servizio sanitario e come contribuenti, che si facciano quadrare i conti adesso per non trovarsi peggio dopo. Compete al ministro della Salute stabilire assieme ai suoi colleghi con il coordinamento del presidente del Consiglio, come intervenire con ticket e altre misure, ma è necessario farlo per dare una riposta agli esperti del Fondo monetario che non sono medici delle persone, ma delle finanze mondiali e hanno diagnosticato che la nostra sanità ha bisogno di una terapia.
Analogo discorso vale per le pensioni. La gente non è tranquilla sul futuro della propria pensione. Non lo sono i giovani che vedono come è indebitato lo Stato e leggono che in Grecia le pensioni sono state tagliate. Non lo sono gli anziani che temono che non ci siano abbastanza soldi per le pensioni e che i titoli del debito pubblico che hanno comprato diventino carta straccia. Ci sono molti altri tagli da affrontare, come le Province e gli acquisti delle pubbliche amministrazioni. Lo Stato sta dando quasi gratis alle Regioni molti suoi beni pubblici. Bisogna che, in contropartita, Regioni ed enti locali ricevano meno fondi oppure riducano il proprio debito pubblico. La tesi per cui per raccogliere i 28mila miliardi basta bloccare i contratti del pubblico impiego, combattere le evasioni, tagliare i falsi invalidi, e ridurre gli stipendi dei parlamentari e degli alti dirigenti pubblici non è convincente. Infatti dai falsi invalidi si potrà ricavare un miliardo o due di minor spesa annua adesso, qualcosa di più in seguito.
Il blocco degli stipendi pubblici evita una nuova spesa, di forse 4 miliardi. Dai tagli agli stipendi dei parlamentari e dei dirigenti che prendono più di centomila euro non si ricaverà nemmeno un miliardo. È una norma etica (per altro non commisurata alla produttività, come sarebbe desiderabile), non una misura finanziaria. La lotta alle evasioni darà un gettito, che non si può ora quantificare. Resta il condono per gli immobili fantasma che può dare qualche miliardo. Ma non si vede ancora il «conto della serva»: cioè una nota in cui si allineano, una sotto l’altra, le minori spese per arrivare a 28 miliardi. I risparmiatori italiani del medio e piccolo ceto attendono una manovra seria per essere tranquillizzati che non faremo la fine della Grecia.

E i contribuenti si attendono un vero taglio delle spese perché sperano che poi si potranno ridurre le imposte.

Commenti