E "il Fatto" spiega come aggirare le nuove regole grazie a internet

Fatta la legge sulle intercettazioni, trovato l’inganno. Virtuale. Mettere tutto su internet, con un indirizzo .com e un capiente e conveniente server in qualche Paese asiatico. Tutto: atti giudiziari in pdf, intercettazioni telefoniche, fotografie, semplici atti d’indagine. Poi, basterà linkare l’indirizzo di questo enorme database giudiziario sul proprio blog in Italia e il gioco è fatto. Perché rimandare a un sito esterno tecnicamente è «segnalazione telematica», non una «pubblicazione», e dunque è assolutamente lecita.

A lanciare la «disobbedienza virtuale» alla riforma delle intercettazioni è stato il Fatto quotidiano di ieri, che ha spiegato come, a rigor di legge, dare a un utente di internet la possibilità di «scaricare» atti giudiziari tecnicamente secretati non si configura come violazione della norma appena approvata dal Senato: «Non è sufficiente che il server di un sito sia all’estero per non dover sottostare alla legislazione italiana - ha spiegato ieri il quotidiano diretto da Antonio Padellaro - come indicato dalla direttiva europea sul Commercio elettronico, fa fede invece la residenza dell’editore».

Dunque, qualsiasi straniero con un server all’estero, ma anche «singoli blogger, testate online, portali Web di quotidiani non italiani» non devono rispettare la legge sulle intercettazioni e «potranno tranquillamente pubblicare atti di inchieste italiane». Non basta: una volta pubblicati su internet, secondo il presidente emerito della Corte costituzionale Valerio Onida, i giornali «possono riprendere la notizia» e riferire ciò che il sito ha pubblicato.
La magistratura, in questo caso, nulla potrebbe. Oscurare un sito straniero è possibile solo per pedofilia o gioco d’azzardo. Figurarsi la politica. A imbavagliare il web ci aveva provato il centrosinistra, quando (coprendosi di ridicolo) aveva preteso di allargare a internet la par condicio e venne preso a pernacchie perfino dall’Unione Europea.

Ma i giornali sono pronti a «bruciare» certe notizie di cronaca giudiziaria, mettendole in rete prima che su carta? Qualcuno l’ha già fatto. L’Espresso annunciò, il giorno prima dell’uscita del settimanale, che le intercettazioni telefoniche tra il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e l’ex direttore generale della Rai Agostino Saccà erano disponibili (e scaricabili...) sul proprio sito.

Il primo scoop del web di un quotidiano è del 1° marzo 1997: il Dallas Morning News diffuse sul proprio sito, sette ore prima di andare in edicola, che uno degli autori della strage di Oklahoma City aveva ammesso la sua responsabilità. Era la trascrizione di una conversazione telefonica con il suo avvocato.
felice.manti@ilgiornale.it

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