E nel passato di Zidane spuntano i buchi neri dell’antidoping

Dalla sua biografia non autorizzata nuovi particolari inediti, come quando si fece espellere per non sottoporsi ai controlli

Quando iniziò a giocare a calcio sul serio, Zizou faceva il difensore. Era bravo e altrettanto irruente, sarà perché è un berbero e fa judo, lo giustificò un dirigente. E nessuno ritenne ci fosse nulla di offensivo in quella dichiarazione. Ma il presidente chiamò Zizou: «Figlio mio - gli disse -, tu sei troppo bravo per giocare in difesa, ho detto all’allenatore di schierarti all’attacco. Vai, vai sereno». In realtà il presidente era stanco di tutti quei rigori fischiati contro la sua squadra per colpa di Zizou. Ora qualcuno potrà obbiettare che le cose non siano andate esattamente così, ma è uscita una biografia non autorizzata su Zinedine Zidane che fa riscrivere intere pagine sul mondiale del 2006, non saranno due righe a dare fastidio.
E in fondo oggi possiamo dire con assoluta certezza che il primo ipocrita nei confronti di Zizou fu proprio il suo primo presidente che invece di parlargli sinceramente, lo incensò senza alcun motivo. Perché Zizou, immenso, irraggiungibile e fiero, è andato avanti dritto per la sua strada, confermando il disastro che aveva causato quel suo primo presidente ai tempi delle giovanili del Cannes. Adesso nella biografia non autorizzata di Besma Lahouri, si legge che un giorno Zizou, immerso nella pace algerina e trovandosi accanto al cugino Akbou, abbia confessato che non è bello prendere la gente a testate. Auguriamo a Besma Lahouri di vendere tanto da arricchirsi, ma la notizia è datata: il 12 luglio 2006, in una intervista rilasciata alla tv di stato francese, Zizou riconobbe e si scusò pubblicamente. Ora emergerebbero nuovi particolari anche su altro che non ci deve neppure lontanamente interessare, per esempio la probabilità che in giro ci sia uno Zidane non autorizzato, ma in carne e ossa, nato da una relazione extraconiugale. Più interessante la storia dei due controlli antidoping evitati con strategiche espulsioni dal campo. Ma Zizou, idolo del calcio moderno, per diventarlo, ha dovuto vestirsi di tutti i pregi e i difetti della categoria. Gol indimenticabili e una camminata sulla schiena del difensore dell’Arabia Saudita nella prima giornata della fase finale di Francia ’98. Si prese due giornate, Aime Jacquet sull’orlo di una crisi di nervi e tutta la Francia ad attendere il ritorno del suo eroe, ingiustamente e eccessivamente punito per un gesto di poco conto. E così France Football gli consegna il Pallone d’oro, un riconoscimento per le sue prestazioni individuali e di squadra, unite al talento e al fair play mostrato in campo. La convinzione in Zizou che era così che bisognasse fare si rafforzarono. Neppure due anni più tardi, durante un incontro di Champions fra Juventus e Amburgo, il metodo Zizou si fa largo con una testata rifilata al difensore tedesco Jochen Kientz.

Un gesto che gli impedì di bissare il Pallone d’oro, si dice in giro, ma sarebbe il segnale di una conversione dei padroni del calcio che non convince, perché la zuccata allo sterno di Materazzi arriva sei anni dopo e chiunque altro non si fosse chiamato Zidane, sarebbe finito al macero.

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