E persino il Nobel cerca l’elisir di lunga vita

SOGNO Giorello: «È un segno dei tempi, la giovinezza è la nostra ossessione»

Come dire, l’Accademia reale di Svezia si è fatta il lifting. Ha guardato al futuro. Ha tirato fuori le creme antiaging. E ha così deciso di assegnare il premio Nobel per la medicina agli scienziati Elizabeth H. Blackburn, alla sua allieva Carol W. Greider (ed è la prima volta che due donne ricevono questo riconoscimento insieme) e a Jack W. Szostak. Tutti e tre statunitensi e tutti e tre titolari di risolutive ricerche gomito a gomito sui telomeri.
In poche parole: la funzione dei telomeri è quella di proteggere i nostri cromosomi durante il processo di divisione cellulare. In una magica parola soltanto: «longevità». E intendiamo longevità in buona salute. Cioè una delle merci più preziose da quando l’uomo è precipitato sulla terra. Tutti la cercano, la inseguono, la desiderano, è la pietra filosofale di ogni scienziato, ma anche di ogni singolo essere umano, nonché di un soprannumero di aziende farmaceutiche e cosmetiche: solo che i passi per avvicinarsi ad essa sono da sempre tanto faticosi quanto incerti. E i tre scienziati americani hanno compiuto con le loro ricerche un notevole balzo in avanti nel combattere l’invecchiamento umano.
È andata così: dapprima Elizabeth Blackburn e Jack Szostak, che hanno cominciato a lavorare insieme fin dall’inizio degli anni Ottanta, hanno scoperto i telomeri, strutture di Dna che si trovano all’estremità dei nostri cromosomi. Non si capiva a cosa servissero, poiché non avevano un ruolo preciso durante la duplicazione cellulare. Ma proseguendo nelle ricerche, a cui si era aggiunta anche Carol Greider, allieva della Blackburn, si vide che a ogni divisione cellulare i telomeri diventavano un po’ più corti e che c’era un enzima, che poi è stato chiamato telomerasi, che ogni volta entrava in gioco per rigenerarli. L’enzima telomerasi, scoperto proprio dalle due donne, produce di fatto il Dna che va a integrare i telomeri dopo lo choc della divisione cellulare. Si capisce che è una funzione quanto mai importante, poiché i telomeri, proprio in quanto «cuscinetti protettivi», impediscono ai cromosomi di danneggiarsi ogni volta che una cellula si replica: aver scoperto il meccanismo del loro funzionamento significa poter iniziare a fare dei timidi passi nel controllo dell’invecchiamento, nonché di alcuni processi implicati con lo sviluppo di tumori, dal momento che più elevata è l’attività della telomerasi più virtualmente «immortale» è una cellula. E guardacaso le cellule del cancro hanno un’attività di telomerasi molto elevata. Il contrario accade invece in alcune malattie ereditarie, dove una telomerasi molto bassa si traduce in danni cellulari. Insomma, le ricerche del trio antiaging («all’inizio eravamo mossi da pura curiosità», ha dichiarato la Greider, che ha saputo del premio mentre faceva il bucato) hanno aperto una strada in diverse direzioni, sia quelle che si propongono la cura di alcune gravi malattie sia quelle che invece inseguono un miglioramento delle condizioni di vita di uomini sani, ma che purtroppo, ahinoi, invecchiano. «L’assegnazione di questo premio Nobel - ci dice il filosofo della scienza Giulio Giorello - è un perfetto segno dei tempi. Come mai l’evoluzione non ha eliminato l’invecchiamento? A prima vista invecchiare è un processo degenerativo che l’evoluzione dovrebbe tendere a eliminare nel corso dei secoli. Eppure non è andata così e noi combattiamo, nei nostri laboratori ma anche modificando il nostro comportamento quotidiano, per allungare la nostra vita. Tuttavia il vero problema non è vincere la morte, ma rallentare l’invecchiamento, allontanarlo. Ricordo il mito di Titone e Aurora, raccontato anche da Dante.

Titone riceve in dono l’immortalità da Aurora, ma però invecchia, perché nel regalo non era compresa anche l’eterna giovinezza. Titone diventa quasi ripugnante. E allora per Aurora l’unica è toglierselo di torno trasformandolo in una cicala».

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