E il premier si regala la riforma della Rai

Il Consiglio dei ministri approva il disegno di legge Gentiloni per completare il ribaltone nella Tv pubblica

da Roma

Un voto di maggioranza senza particolari conflitti, in Consiglio dei ministri, ed ecco che da ieri, con l’approvazione del disegno di legge del ministro Paolo Gentiloni la Rai cambia di nuovo volto e struttura, stavolta secondo i desideri del centrosinistra.
Tante e complesse le novità: muteranno gli assetti dirigenziali e le modalità di nomina del Consiglio di amministrazione di Viale Mazzini; verrà istituita una Fondazione che sovrintenderà all’esercizio del servizio pubblico radiotelevisivo, sotto il cui controllo ci saranno delle società operative (dovrebbero essere tre). La fondazione sarà proprietaria dell’azienda. Non ci sarà più un direttore generale, ma un amministratore delegato con forti poteri. Infine, il tormentatissimo ganglo del Cda, che questa volta sarà nominato da soggetti diversi: in parte dai parlamentari, in parte da fonti legate a Regioni, dagli organi costituzionali e associativi, e anche da dipendenti Rai.
Malumori nell’Unione? Certo, non tutti sembrano convinti sino in fondo, al punto che il ministro della Giustizia Mastella, uscendo da Palazzo Chigi già annuncia: «Apporteremo il nostro contributo con dei correttivi in Parlamento». E poi, con una ulteriore stoccata: «Fossi Petruccioli, per distendere gli animi, mi sarei già dimesso». Ma è durissimo, da Asti, Silvio Berlusconi, che ritorna sul tema in un comizio elettorale: «Come c’è la legge ammazza-Mediaset c’è anche la ammazza-Berlusconi».
L’ira di Gasparri. La prima stroncatura arriva dall’ex ministro Maurizio Gasparri, che definisce il testo varato dal governo «barocco e irricevibile». Argomenta Gasparri: «Il Consiglio di amministrazione verrebbe formato con procedure complesse e affidando poteri di nomina ad ambienti e strutture la cui legittimità appare assai dubbia in riferimento alle funzioni di quella che resta comunque una Spa. Ben altre - osserva il deputato di An - sono le strade da percorrere. A cominciare dal rispetto della legge vigente e ponendo fine alla vergognosa aggressione al Cda attuata dal ministro dell’Economia, che mette a repentaglio il servizio pubblico. È Padoa-Schioppa che se ne deve andare. Non si può immaginare che resti in carica Petruccioli - conclude Gasparri - minacciando i rimanenti consiglieri di centrodestra. È una logica da epurazione etnica, da campo di concentramento. Non di un’azienda del servizio pubblico». Uguale scetticismo arriva da un altro ex ministro di An, Mario Landolfi: «Il testo non convince, prelude a una vendita poco trasparente». Non solo. «I partiti - accusa Landolfi - escono dalla porta ma rientrano dalla finestra della Fondazione».
I criteri di nomina.

Vale la pena, ovviamente, di entrare nel dettaglio per capire con quali complessi meccanismi saranno designati gli 11 membri (nelle Linee guida erano 7) del nuovo Cda: quattro vengono nominati dalla Vigilanza a maggioranza di due terzi, due dalla Conferenza Stato-Regioni, uno dal Consiglio nazionale dell’Economia e del lavoro, dal Consiglio nazionale degli utenti, dall’Accademia dei Lincei e dalla Conferenza dei rettori delle Università, uno eletto dai dipendenti Rai a scrutinio segreto (il Cda resta in carica per sei anni). Infine il portavoce del governo, Silvio Sircana, «bacchetta» il ministro Padoa-Schioppa, che ieri voleva mandare a casa tutto il Cda: «Ha fatto solo un esempio de jure».

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