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E quando guidava la Rai condannò Socci per aver incalzato la diessina Melandri

L’accusa al giornalista di «Excalibur»: «Militanza e conduzione aggressiva»

E quando guidava la Rai condannò Socci per aver incalzato la diessina Melandri

Anna Maria Greco

da Roma

Era l’11 dicembre 2003 quando scoppiò in tv il «caso Socci-Melandri» e presidente della Rai era Lucia Annunziata. Immediatamente, condannò il conduttore di Excalibur e vicedirettore di Rai2, che aveva incalzato con i suoi «perché» sull’embrione la deputata Ds, finché lei se n’era andata sbattendo la porta.
L’Annunziata disse allora che Socci doveva scusarsi con la Melandri, gli altri ospiti del dibattito e il pubblico, per la sua «aggressiva conduzione» e chiese al direttore generale Flavio Cattaneo di «applicare in modo imparziale le regole aziendali». In particolare, accusò il giornalista di aver «abbandonato qualunque idea di conduzione, anche partigiana, per assumere i toni puri e semplici della militanza». Così aveva «offeso» la Melandri e «ferito la sensibilità di molte persone».
Colpisce che, tra i protagonisti della vicenda, diversi erano gli stessi che intervengono in questi giorni sul nuovo «caso Annunziata-Berlusconi». Presidente della Commissione di Vigilanza era il Ds Claudio Petruccioli, che richiamò Socci (definendolo arrogante e incivile), come ora ha fatto con la stessa Annunziata di cui ha preso il posto al vertice di viale Mazzini. Mentre il deputato della Margherita Paolo Gentiloni, che oggi è successore di Petruccioli alla guida della Commissione e ha difeso la conduttrice della trasmissione di Rai3 In mezz’ora, di Socci disse che era un «crociato», inadeguato alla conduzione tv. Antonello Falomi, membro della Commissione allora Ds e oggi di Rifondazione comunista, accusa ora Petruccioli di «atteggiamento cerchiobottista», ma nel caso di Socci chiese l’intervento della Vigilanza e presentò l’esposto all’Autorità per le Comunicazioni, sostenendo che Excalibur era «una sorta di “zona franca” in cui non vengono rispettate le normali regole di pluralismo e di imparzialità».
Ne seguì un richiamo verbale della Rai a Socci e, più tardi, la condanna del Garante che invitava viale Mazzini ad avviare un procedimento disciplinare.
Il 17 novembre 2004, infatti, l’Autorità stabilì che Socci, con la sua conduzione «incalzante», aveva «provocato la limitazione, il rinvio e la sospensione dell’illustrazione dei diversi punti di vista», in particolare quello della Melandri che, per il suo insistere su «specifici aspetti» ripetendo la stessa domanda («perché?»), non aveva potuto esprimere il suo pensiero. Insomma, Socci aveva violato l’atto di indirizzo sulle garanzie del pluralismo nel servizio pubblico radiotelevisivo, approvato dalla Commissione di Vigilanza l’11 marzo 2003. Come tutti i direttori, conduttori e giornalisti del servizio pubblico lui era tenuto «al rispetto dell’imparzialità, avendo come unico criterio quello di fornire ai cittadini utenti il massimo di informazioni, verificate e fondate, con il massimo della chiarezza». E questo rispetto non l’aveva avuto.


Un precedente interessante quello di Socci, che può provocare anche qualche imbarazzo.

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