Torino - Alla fine, c’è sempre un dettaglio che rivela la sostanza e ieri i dettagli che rendevano chiara la complessità della macchina comunicativa veltroniana erano due piccoli riflessi di vetro quasi impercettibili all’altezza della giacca che si notavano nell’inquadratura a piano americano, quella che mostra anche il busto. Quei due schermi di vetro erano una piccola-grande innovazione, i gobbi elettronici già usati da uno dei miti di Walter Veltroni, Barak Obama, e introdotti in Italia (guarda che coincidenza!) da Luchino Cordero di Montezemolo. Un trucco, ma anche un messaggio. Ieri, nel catino rovente del Lingotto, quei gobbi elettronici, utilizzati da uno che potrebbe parlare a braccio per ore, e che giustamente se ne vanta, rivelavano tante cose insieme. La prima: che la difficoltà del discorso del sindaco era tale da non potersi permettere di sbagliare una parola; la seconda: il Veltroni di ieri, malgrado quarant’anni di esperienza politica, era visibilmente emozionato; la terza, e forse la più importante: la kermesse del sindaco di Roma ieri era pensata - e anche questo è un salto che in altri tempi qualcuno avrebbe definito berlusconiano - più per l’esterno che per l’interno, più per la tv che per la platea di Torino.
Infatti, quando l’inquadratura si stringe nel primo piano, una delle più frequenti nelle regie televisive, i due schermetti, che dal lato del pubblico appaiono assolutamente trasparenti diventano perfettamente invisibili e lo spettatore da casa ha l’impressione che il leader parli disinvoltamente e percorra la platea con lo sguardo da un capo all’altro. A ben vedere, ieri, tutto l’evento era pensato in questa logica mediatica: la sala gialla, di appena tremila posti, era già piena un’ora prima di cominciare. E veniva di fatto trasformata in una sorta di studio televisivo. Nei capannoni esterni, invece, erano allestiti due megaschermi dietro cui affollare tutti gli altri militanti accorsi, con un effetto di palpitazione, emozione da «tutto esaurito». «Poi li vado a salutare», promette il sindaco all’inizio, e quando alla fine lo fa, è un bagno di folla perfetto per le tv. Gli altri due «trucchi» semplici ma efficacissimi, erano ancora una volta nella coreografia e nella scenografia. Nessuna struttura, solo cinque schermi su cui venivano proiettate come in un caleidoscopio, immagini diverse. Dietro a Veltroni, un fotogramma fisso, le mura di un centro storico che facevano tanto «sindaco d’Italia».
Nei due schermi esterni l’inquadratura live del discorso del sindaco, in quello centrale fotogrammi in movimento con grandi panorami, e nei due schermi intermedi un bellissimo paesaggio di colline e cipressi, con un casolare arroccato in campagna, che faceva molto Chiantishire, bel paese beautiful country.
Alla fine l’effetto complessivo era ancora una volta un sapore déjà vu, qualcosa a metà strada tra l’Almanacco del giorno dopo del vecchio Carosello (uno dei format più apprezzati da Weltroni della Rai bernabeiana e pedagogica) e United colors of Benetton (uno dei più geniali format pubblicitari partorito dalla fantasia di Oliviero Toscani). A cucinare il tutto un altro effettaccio semplice ma efficacissimo, la variazione di luci e colori sincronizzata con il discorso del leader. Veltroni parlava di giovani e precari e la sala si oscurava fino a diventare una quinta teatrale. Veltroni passava al Partito democratico e in sala si accendevano faretti di ottimismo, Veltroni citava Giulia, la bambina di quindici anni che scompare per un male incurabile scrivendo ai genitori: «Ho deciso di regalarvi un’adozione a distanza, non è un regalo che potrete scartare, ma spero di avervi sorpreso». Grande emozione in sala, e mentre Walter scandisce la citazione della coraggiosa e generosa ragazza, dietro di lui appare il primo piano di una bambina con occhi azzurri e sfolgoranti.
Siccome la forma in politica è sempre anche il contenuto, tutta questa studiata semplicità, mostrava l’attenzione che il veltronismo ha per i riti, i messaggi, la capacità di suscitare emozioni, un bel salto evolutivo rispetto al prodismo bofonchione e trafilato, quello che sussurra mezze battute, anche quando parla dei problemi di Stato. E a voler guardare in controluce, anche i contenuti del discorso di Veltroni si rifacevano a modelli un tempo impensabili per un leader di sinistra. Il sindaco di Roma usava la locuzione preferita dal Cavaliere («L’Italia che produce»), postulava la centralità di artigiani e medie imprese (categorie sociali un tempo tabù), arrivava persino a dire «Questo Nord» riecheggiando l’orgoglio di appartenenza etnica bossiano. È un discorso probabilmente meno innovativo di quanto non avrebbero fatto pensare le dichiarazioni della vigilia. Ma che è studiato, per tenere insieme tutto: l’innovazione e il sostegno al governo, l’idea del sogno e quella della concretezza, i malumori dei partiti e le aspettative dei militanti.
Luca Telese
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