E il sindacato copia i "padroni": a casa la lavoratrice molestata

Molestata, mobbizzata e infine licenziata. La storiaccia che arriva da Ragusa non riguarda un’azienda qualsiasi, ma la Cgil. Il primo sindacato italiano, che solitamente gli abusi da «padrone» sul posto di lavoro dovrebbe combatterli. E invece...

Molestata, mobbizzata e infine licenziata. La storiaccia che arriva da Ragusa non riguarda un’azienda qualsiasi, ma la Cgil. Il primo sindacato italiano, che solitamente gli abusi da «padrone» sul posto di lavoro dovrebbe combatterli. E invece... Lei è R., un’ex dirigente assunta formalmente alla Cgil con un contratto part time nel marzo nel 2000 («Ma lavoravo per loro anche nel 1998 e full time. In nero, ovviamente, e posso dimostrare tutto...», dice al Giornale). Lo scorso 8 aprile le è arrivata la lettera di licenziamento firmata dal responsabile della Camera del Lavoro territoriale della città siciliana, Giovanni Avola, nella quale si contesta come «giusta causa» del licenziamento l’essersi assentata dal posto di lavoro più volte, fino ai giorni immediatamente precedenti la lettera e soprattutto di aver contribuito a diffamare l’immagine della Cgil locale con accuse false e infamanti. Il problema, però, è che solo qualche mese prima la stessa Cgil locale le aveva preparato il benservito: un accordo di conciliazione - di cui il Giornale è entrato in possesso - nel quale in cambio di 14mila euro la Cgil chiedeva le dimissioni immediate e il silenzio su una storiaccia di molestie sessuali sul posto di lavoro «preannunciata il 12 ottobre via fax» al sindacato siciliano e su qualsiasi altra azione, «anche solo potenziale, che possa riguardare i rapporti personali lavorativi (...) con dipendenti e dirigenti» dell’organizzazione sindacale.
Cos’era successo? L’ex dirigente Cgil glissa: «Preferisco non dire nulla né sui protagonisti né sull’intera faccenda delle molestie», che probabilmente sarà oggetto di un’altra causa. Le presunte molestie sarebbero iniziate molti mesi prima e avrebbero come protagonista un suo collega d’ufficio. «Vista l’estrema delicatezza della vicenda - ribadisce il legale della donna - non posso aggiungere altro. È opportuno prima discuterne nelle sedi giudiziarie più opportune. Allo stato abbiamo solo presentato il necessario tentativo di conciliazione avanti all’Ufficio del Lavoro di Ragusa».
La donna avrebbe chiesto di essere trasferita a Roma, dove in parte aveva già lavorato, per evitare dolorosi e complicati strascichi giudiziari. E invece, al posto del trasferimento sarebbe iniziato il mobbing, culminato con il licenziamento. L’avvocato mostra al Giornale un malloppo di certificati medici: dal 31 ottobre al 6 febbraio il sintomo è sempre lo stesso: «Disturbo d’ansia acuto, reattivo, con somatizzazioni viscerali» associato con un «disturbo cronico dell’adattamento».

Per adesso la Cgil di Roma, informata della querelle giudiziaria, tace. Pare che sia arrivata una sorta di reprimenda «politica» e nulla più. In fondo, ogni sede locale è autonoma. Forse certi diritti hanno un peso diverso se si abita al Nord o al Sud.
felice.manti@ilgiornale.it

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