Ecco che cosa riserva il futuro ai bimbi che nascono nel 2011

Dall'Ufficio Studi Allianz lo scenario sulla società italiana nei prossimi decenni. Gli italiani tra i più longevi in Europa e nel mondo

Secondo l'indagine presentata dall'Ufficio Studi di Allianz è prevedibile con una certa sicurezza, in base alle statistiche dell'Onu, che i bimbi italiani nati nel 2011 saranno tra i cittadini più longevi d'Europa e al mondo. Con un'aspettativa media di vita che oggi è di 81,5 anni, l'Italia è in testa alla graduatoria europea: fanno meglio soltanto Svizzera e Francia, rispettivamente con 82,4 e 81,8 anni, mentre il Giappone guida le classifiche mondiali sfiorando gli 87 anni. Come è noto, le donne vivono più a lungo: l'aspettativa di vita per le italiane è di 84 anni, cinque anni e mezzo più dei loro consorti.
Le statistiche ufficiali sono di aiuto anche per immaginare la realtà delle famiglie e della società che i nuovi nati conosceranno durante la loro vita. I piccoli nati oggi, con un'elevata probabilità, resteranno figli unici, visto il calo registrato nell'ultimo decennio nel numero di famiglie con due o più figli. La neo mamma, se facciamo ancora riferimento alle statistiche, sarà probabilmente di età superiore a trent'anni e regolarmente sposata. Infatti, sebbene il numero di figli nati dal matrimonio sia in costante declino da diversi anni, in Italia è ancora nettamente maggioritario e sfiora l'80% del totale delle nascite, una percentuale quasi doppia rispetto ad altri Paesi europei come Norvegia e Svezia, dove le nascite fuori dal matrimonio sono più della metà sul totale dei nuovi nati, rispettivamente al 55,1% e 54,4% (dati Eurostat 2009).
Nei primissimi anni di vita i bimbi saranno accuditi per lo più all'interno del nucleo familiare. L'Ocse stima che in Italia soltanto il 30% dei piccoli da 0 a 2 anni frequenta l'asilo nido. Il dato, nella media dei Paesi Ocse, è decisamente più basso rispetto a Paesi europei come Danimarca (63%) e Olanda (54%). La fotografia cambia radicalmente per la fascia di età immediatamente superiore, tra i 3 e 6 anni. L'Italia, in questo caso, guida le classifiche Ocse con un tasso vicino al 100% di bimbi iscritti alle scuole d'infanzia. È quindi probabile che anche i nuovi nati nel 2011 inizieranno la propria "vita scolastica" attorno ai tre anni.
Ma fino a quale età andranno a scuola? Secondo le più recenti indagini, soltanto il 20% della popolazione italiana nella fascia d'età tra 25 e 34 anni è oggi in possesso di un diploma di laurea (dati Eurostat), una percentuale significativamente inferiore alla media dell'Unione Europea del 33 per cento. Va detto però che negli ultimi dieci anni la situazione è fortemente migliorata: la percentuale di giovani italiani con un diploma di laurea è raddoppiata in pochi anni, salendo dall'11% registrato nel 2000 al 20% attuale.
Proiettando questo trend positivo nel futuro, possiamo aspettarci che da qui a vent'anni si potrà raggiungere l'obiettivo di portare fino alla laurea almeno un terzo della popolazione. Nel 2030, dunque, uno su tre dei bimbi italiani nati quest'anno starà studiando per la laurea.
Come sarà la vita dei nuovi nati nel 2011 al raggiungimento della maggiore età? Quando i bimbi di oggi avranno superato i 18 anni e staranno per iniziare gli studi universitari, le loro famiglie avranno già investito molto per insegnare loro i corretti stili di vita. Ma, guardando agli studi più recenti, la situazione attuale non è poi così positiva.
Nei Paesi industrializzati, le malattie legate all'obesità e le patologie derivanti dal consumo di alcol e dal fumo rappresentano oggi il più alto rischio di morte e sono la maggiore fonte di costo nella spesa sanitaria (senza dimenticare anche i costi impliciti in termini di perdita di ricchezza derivanti dalle assenze da lavoro per malattia). È già oggi necessario sensibilizzare di più i giovani in tutti i Paesi educandoli ad adottare corretti stili di vita e insegnare loro l'importanza dell'attività fisica.
Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, due terzi dei cittadini europei non raggiunge il livello raccomandato di attività fisica, che dovrebbe essere di 30 minuti al giorno. L'Oms prevede che in futuro questo trend peggiorerà. In media gli uomini sono più attivi delle donne e le fasce di età più giovani sono quelle che praticano più sport. In questo quadro, l'Italia non fa eccezione: il 35,3% degli uomini e il 44,9% delle donne non pratica regolarmente alcuno sport o attività fisica, secondo un recente studio dell'Istat. E i giovani? Fino all'età di 15 anni, la maggior parte dei teenager è impegnata nello sport: sono esclusi soltanto il 14,7% dei ragazzi tra 11 e 14 anni e il 21,2% delle loro coetanee. Ma dopo l'adolescenza l'entusiasmo crolla: il 23,9% dei ragazzi tra 20 e 24 anni, e il 32,5% delle giovani non pratica regolarmente alcuna attività fisica.
Con queste premesse, la probabilità che i nuovi nati del 2011 si ritrovino, dopo l'Università, a condurre una vita sedentaria è piuttosto alta. Oggi soltanto un terzo degli uomini di età tra 25 e 34 anni e soltanto un quinto delle donne pratica uno sport con regolarità. Fenomeni sociali come la progressiva urbanizzazione, le nuove tecnologie come la robotica applicata alla vita domestica, e la commistione sempre più accentuata tra vita lavorativa e tempo libero, sono tutti fenomeni che fanno prevedere l'accentuarsi di questo trend. Con i rischi che ne derivano: se non si miglioreranno stili di vita e abitudini alimentari, le probabilità che le nuove generazioni soffrano di problemi di sovrappeso già attorno ai 45 anni arriveranno al 50% tra i maschi e al 40% tra le femmine.
Attorno al 2050, dopo che la generazione dei baby boomers avrà raggiunto l'età della pensione, il declino annuo della popolazione attiva rallenterà a un ritmo di 100.000 lavoratori in meno l'anno. Ma a quella data, ci saranno per ogni 100 persone attive 60 over 65enni e un lavoratore su tre avrà già un'età superiore a 50 anni. Senza voler azzardare previsioni sul futuro dei sistemi di welfare, sembra inevitabile che alle nuove generazioni sarà chiesto un contributo attivo per le prestazioni pensionistiche e sanitarie. Non soltanto per gli squilibri derivati dai trend demografici, ma anche considerando che la globalizzazione renderà più diffuse di oggi le carriere professionali internazionali e i trasferimenti da un Paese all'altro per lavoro.
Non necessariamente, come possiamo immaginare oggi, le prospettive di carriera lavorativa saranno proiettate verso la Cina; le nuove generazioni potrebbero avere occasione di lavorare anche in alcune tra le aree emergenti dell'Africa.
Infine, qualche previsione sulla terza e quarta età. I nuovi nati nel 2011 probabilmente andranno in pensione non a 65 anni, ma verso i 70 anni cioè dopo il 2080, tenuto conto dell'allungamento delle aspettative di vita e della contrazione della forza lavoro.

Ciò detto, se anche in futuro prevarranno i trend che si sono manifestati negli ultimi decenni, i futuri pensionati sono candidati a godersi una lunga e sana stagione post-lavorativa. E allora, divenuti già nonni, i nuovi nati del 2011 potranno dedicare la propria fantasia a immaginare quale futuro riserverà la vita ai nipotini nati nel 2080 o giù di lì.

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