Ecco le mamme a 5 cerchi Quando un figlio vale più di una medaglia

nostro inviato a Pechino

Le mamme olimpiche o olimpioniche, vedi Valentina Vezzali, sono merce rara. Perché la gravidanza è un oro olimpico tutta la vita e perché riprendersi e per di più tornare competitivi è un Grande slam. Fatto sta, di mamme olimpiche ce ne sono di due tipi: quelle che sono madri ma i piccoli non li hanno al seguito e quelle che sulla presenza dei piccoli fondano i loro successi. Inutile dire che la seconda categoria è quella più rara, di cui unica vera rappresentante è proprio Josefa Idem: «Io devo avere con me i miei figli, sono loro che mi danno quella marcia in più che mi serve per non sentire l’età quando remo», dice e ripete. E ieri ha aggiunto: «Fare un’Olimpiade è come partorire». Non la pensa così la mamma americana Dara Torres, nuoto, 41 anni e medaglia d’argento nei 50 stile libero. Una sua compagna di squadra, Kara Lunn Joyce, ha rivelato: «Dara mi ha detto che il nuoto è duro ma partorire lo è molto di più». Ci sono poi le mamme che combattono nel vero senso della parola la mancanza del figlio. È il caso di Valentina Vezzali: «Ora voglio solo tornare a casa, dal mio bambino, perché ho sofferto troppo quando è venuto con me all’aeroporto e si è messo a piangere capendo che sarei partita solo io».

Altre azzurre mamme? Simona Gioli nel volley e Natalia Valeeva nel tiro con l’arco. Entrambe sono già a casa. Anche loro appartengono alla seconda categoria e alla vigilia avevano dichiarato: «La migliore vittoria sono i nostri bambini». Che l’abbiano fatto apposta per tornare da loro?

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