Perché la soluzione non è creare una banca pubblica

La trasformazione di Cassa depositi e prestiti e Poste italiane in un nuovo operatore bancario li assoggetterebbe a tutti i requisiti e obblighi delle banche private operanti in Italia. Le norme internazionali sono comunque complesse e vanno lette in modo integrato

Con riferimento all'articolo di Magdi Cristiano Allam, che leggiamo sempre con particolare attenzione, su «Una banca pubblica per ridurre il debito», vorremmo sottolineare alcuni aspetti. Il livello del debito pubblico in Italia è uno dei vincoli più stringenti per il nostro Paese. Tutti ci interroghiamo come ridurne la dimensione, con effetti benefici anche sulle uscite dello Stato in termini di interessi pagati al mercato.

Non è vero che il debito pubblico è oggi finanziato direttamente dalle banche con operatività di finanziamento ordinario; i titoli del debito pubblico italiano sono detenuti per quasi il 40% da operatori esteri, per il 29 da residenti (famiglie e imprese) in Italia, per il 23% da banche. Lo Stato possiede una quota significativa della Cdp e esercita un'influenza determinante su Poste Italiane. La trasformazione di questi due soggetti in un nuovo operatore bancario li assoggetterebbe a tutti i requisiti e obblighi delle banche private operanti in Italia! Le norme internazionali, richiamate nell'articolo, sono comunque complesse e vanno lette in modo integrato.

Ad esempio, l'articolo 124 del Trattato sul funzionamento dell'Ue recita: «È vietata qualsiasi misura, non basata su considerazioni prudenziali, che offra alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell'Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri un accesso privilegiato alle istituzioni finanziarie».
Quindi la proposta potrebbe violare proprio i vincoli europei, rischiando di rientrare sia nel divieto della Bce di finanziare il debito pubblico di uno Stato membro, sia nel regime degli aiuti di Stato. Quindi l'utilizzo di risorse (a breve) acquisite dalla Bce al costo dello 0,25% per finanziare direttamente lo Stato a condizioni inferiori a quelle di mercato o direttamente le imprese potrebbe essere incompatibile con le regole europee.

Non sempre soluzioni semplici a problemi complessi sono percorribili. L'impegno di tutti va comunque rivolto a rilanciare la crescita della nostra economia, attraverso riforme strutturali, che rendano nuovamente competitiva l'Italia.


In questo modo, tra l'altro, si rafforzerebbe la fiducia nei confronti del nostro Paese, con una maggiore facilità di collocare il debito pubblico sul mercato nazionale e internazionale dei capitali. Questa strada avrebbe reali effetti positivi sul costo del debito stesso.

Gianfranco Torriero
Direttore centrale Abi

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