Bce, i falchi in vantaggio: vogliono tassi su di 0,75%

I brutti dati sull'inflazione portano a un aumento "jumbo". Colombe in difesa, con armi spuntate

Bce, i falchi in vantaggio: vogliono tassi su di 0,75%

La Banca centrale europea si appresta a compiere una delle scelte più difficili di sempre, ancor più di quella del 21 luglio, quando alzò i tassi d'interesse per la prima volta da undici anni, mettendo fine all'era dei tassi negativi. Due mesi fa, non aveva grande scelta: per combattere l'inflazione galoppante poteva solo agire con determinazione prima che la recessione, ormai all'orizzonte, chiudesse la finestra per agire. Il rialzo da 50 punti, più alto delle attese, servì anche a convincere i falchi a dare vita allo scudo anti-spread, varato all'unanimità. Ora, falchi e colombe sono lontani e senza merci di scambio. I primi più determinati, anche in pubblico, tanto da far scommettere a mercati ed analisti che il rialzo sarà «jumbo», cioè da 75 punti. Ma i secondi sono pronti a dare battaglia durante la riunione del board di oggi, che dovrà necessariamente trovare un compromesso per non indebolire la decisione finale.

Sul tavolo dei 19 membri nazionali più i 6 del consiglio direttivo ci saranno i dati economici aggiornati ad agosto. Daranno non soltanto un quadro della situazione, utile per capire la dinamica del ciclo, ma saranno anche una prima verifica della mossa di luglio. Sull'inflazione, il vero nemico da battere, le notizie saranno pessime: ad agosto ha toccato il nuovo record di 9,1%, nei Paesi baltici viaggia sopra il 20% da mesi, ha superato la doppia cifra in Olanda, Spagna e altri, e la Germania ci arriverà a dicembre. La previsione fatta a luglio dallo staff per il 2022 (6,8%) verrà quindi rivista, rafforzando le convinzioni di chi crede necessaria una stretta pesante, da almeno 75 punti subito e almeno 50 a ottobre.

L'ipotesi spaventa molti, non soltanto le colombe del board. Anche alcuni analisti ritengono possa essere azzardato muoversi troppo quando si è sul precipizio della recessione. Il rischio è di ripetere quello che è considerato ormai da tutti l'errore di Trichet, il presidente della Bce che nel 2011 rialzò per due volte i tassi proprio quando la crisi della zona euro stava peggiorando, condannando le economie che crescevano meno. Ma la situazione di oggi è molto più incerta rispetto a quella della crisi dei debiti sovrani, quando gli spread facevano da termometro all'affidabilità dei Paesi. Anche ora i rendimenti dei titoli di Stato sono in risalita e alcuni provano a fare scommesse contro l'euro, ma i Paesi della zona hanno dato prova di grande resilienza e tenuta di fronte a crisi imprevedibili come la pandemia. La zona euro è più attrezzata contro gli shock, e anche sul Pil arrivano segnali non troppo drammatici. La crescita di Eurolandia, nel secondo trimestre del 2022, è salita dello 0,8% rispetto ai primi tre mesi dell'anno. La stessa Bce si aspettava numeri peggiori nelle sue previsioni di giugno (appena uno 0,2%). E anche sull'occupazione, altro dato che guiderà le scelte di Francoforte, Eurostat non segnala ancora frenate, anzi nel secondo trimestre sale dello 0,4%, (e in Italia dell'1,2%). Certo, non sono dati che escludono la recessione. Lo scenario peggiore possibile, cioè la Russia che chiude i rubinetti del gas, si è materializzato.

I prezzi corrono, le bollette salgono e i consumi frenano. L'allerta è alta, e nella riunione del board le colombe chiederanno di procedere con cautela, con rialzi costanti come indicava il capoeconomista Philip Lane. Ma potrebbe essere troppo tardi per contenere i falchi.

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