Il rientro dalle feste per Carige è in profondo rosso. Il titolo della banca genovese è crollato del 18,7% a 0,0013 euro in Piazza Affari, dove ora vale poco più di 70 milioni. Una capitalizzazione più vicina alle società quotate sull'Aim che non a quella di una banca. Dopo lo stop dell'assemblea dei soci all'aumento di capitale da 400 milioni provocato dall'astensione dei Malacalza, crescono, infatti, i punti interrogativi sulla sorte del secondo gruppo bancario più antico del mondo. Che rischia di seguire la strada imboccata dal primo: il Monte Paschi di Siena, finito nelle mani dello Stato.
Alla Bce, comunque, sono iniziate le consultazioni con il management e gli azionisti per evitare lo scenario peggiore. Ieri, secondo indiscrezioni, sono andati in missione «separata» a Francoforte per studiare un piano B da un lato l'ad Fabio Innocenzi e il presidente Pietro Modiano, dall'altro Davide e Mattia Malacalza, proprietari con il padre Vittorio della Malacalza Investimenti, cui fa capo il 27,5% di Carige. Sono i primi faccia a faccia per trovare una soluzione dopo l'assise degli azionisti di sabato scorso, dove si è arenato il piano di salvataggio del gruppo.
La Vigilanza europea avrebbe acceso un faro sulla governance di Carige e starebbe facendo pressione per ottenere la convocazione di una nuova assemblea, così da varare la ricapitalizzazione. Il mancato via libera all'aumento di capitale da 400 milioni, ha infatti messo in dubbio la capacità di Carige di completare il piano di ristrutturazione concordato.
Lo stop dei Malacalza, in attesa di ulteriori indicazioni su piano industriale, portafoglio crediti e percorso di aggregazione voluto dalla Bce, ha inoltre già provocato un (altro) terremoto in cda: con l'addio di Lucrezia Reichlin, vice presidente fortemente voluta dallo stesso Malacalza, e di Raffaele Mincione (secondo socio con il 5,4%) che la scorsa estate aveva conteso all'imprenditore il controllo dell'istituto genovese.
I Malacalza d'altro canto, in tre anni hanno investito nell'istituto oltre 400 milioni e, per non perdere la presa sulla banca, dovrebbero ora versarne altri cento. Dal 2014 ad oggi, il gruppo ha bruciato 2,2 miliardi derivanti da tre diverse ricapitalizzazioni.
Da qui la decisione dei Malacalza di prendere tempo, forti della sottoscrizione di 320 milioni di bond subordinato da parte dello Schema Volontario del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. Che tuttavia non può essere risolutivo, visto che il regolamento dello Schema vieta al Fondo di diventare azionista di riferimento di una partecipata, situazione che si avvererebbe con la conversione forzosa dell'obbligazione.
Francoforte ha concesso a Carige un altro anno di tempo (fino al 31
dicembre 2019) per rientrare dei requisiti patrimoniali richiesti. Ma la situazione è sempre più incandescente. E c'è chi come Equita non esclude il possibile intervento diretto della Vigilanza, in pratica un commissariamento.
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