Cdp, salvataggi di Stato a Ilva e Trevi

La Cassa si schiera a fianco di Arcelor. Ma è fumata grigia per la big dell'ingegneria

Cdp, salvataggi di Stato a Ilva e Trevi

Straordinari di fine anno per la Cassa depositi e prestiti che, insieme al suo braccio operativo, Cdp Equity, è la principale protagonista della finanza nostrana. Così il risparmio postale, di cui la Cassa si alimenta, non è mai stato tanto «richiesto».

Il caso Ilva, e quello di Trevi, sono i più recenti. Ma all'appello si può annoverare la partita Saipem e lo scorporo di Italgas da Snam. Sembra, infatti, che i dossier industriali più delicati debbano passare tutti sul tavolo del presidente Claudio Costamagna e dell'ad Fabio Gallia. Per lo più chiamati in causa da politici e sindacati a ogni crisi aziendale. E se nella saga Alitalia, Cdp resta per ora ai margini, si è riusciti invece a ottenerne l'intervento per salvare la siderurgia tarantina. Dopo un balletto durato mesi, infatti, Cdp si schiererà al fianco dei franco-indiani di Arcelor Mittal per risanare l'Ilva. L'impegno di Cdp che - prima con Jindal, Arvedi e Del Vecchio in AcciaItalia, la squadra concorrente uscita sconfitta dalla corsa - permetterà di soddisfare la richiesta dell'Antitrust Ue di escludere il gruppo Marcegaglia, ora socio al 15% della cordata Am InvestCo. Nel nuovo assetto, con la Cassa rientrata dalla «finestra» all'ultimo, Arcelor Mittal avrebbe l'88,8% dell'Ilva con un investimento da 1,5 miliardi; mentre Cdp avrebbe il 5,6% mettendo sul piatto 100 milioni. Fonti vicine alla società spiegano che «non si tratta di un mero investimento di equity, ma di una vera operazione di salvataggio perché tutta la partita non naufragasse». Un salvagente arrivato in extremis dopo che la creazione di una cordata ad hoc, nelle prime fasi della trattativa, «aveva creato un perimetro di gara che altrimenti non ci sarebbe mai stato», spiega la fonte.

Diverso il caso Trevi, ereditato dalla precedente gestione, rientra tra le «preoccupazioni» di bilancio del gruppo insieme a Saipem. Il gruppo di ingegneria del sottosuolo è alle prese con la salvaguardia della continuità aziendale e ieri a Cesena, in un cda fiume, non ha ancora trovato la quadra su eventuali interventi di finanza straordinaria. Il tutto dopo che il debito consolidato a settembre era salito a 600,3 milioni contro i 440,8 milioni del 2016. La Cassa azionista con il 16,8% - comprò la quota nel 2014 per 101 milioni, quando il titolo valeva 4 euro (ieri 0,29 euro). Una situazione conseguente alla stessa crisi del settore petrolifero che ha messo nei guai Saipem, dove Cdp ha investito 463 milioni per il 12,5%. Una partecipazione in perdita (la minusvalenza è di oltre 360 milioni) che di fatto è stata l'ennesimo «salvagente», questa volta per il colosso dell'oil Eni. «L'operazione - ricorda la fonte ha permesso al Cane a sei zampe di deconsolidare il debito e migliorare il rating, anche etico». Una sorta di «impegno» indiretto della Cassa per l'energia «di Stato» che va letto in un'ottica d'investimento. Costamagna ha ripetuto, infatti, che le operazioni di Cdp «non sono speculative, ma a lungo termine» e, dunque, confida che l'investimento in Saipem sarà «recuperato».

Un film che probabilmente non sarà lui a seguire. L'accoppiata al vertice della Cassa è in scadenza in primavera. D'altra parte Costamagna si è sempre detto «in prestito». E chi arriverà erediterà comunque con ogni probabilità tutti questi dossier.

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