Economia

Cgia, Italia penultima in Ue per investimenti esteri

L'associazione delle piccole e medie imprese che evidenziano come l'Italia non sia un Paese in grado di attrarre gli investitori stranieri

Cgia, Italia penultima in Ue per investimenti esteri

"Non siamo un Paese attrattivo per gli investitori stranieri". Ad affermarlo, in una nota, è il centro studi della Cgia di Mestre che analizza il posizionamento dell'Italia nel panorama internazionale degli investimenti.

Secondo la ricerca effettuata dall'associazione degli artigiani e piccole-medie imprese, nel 2018 gli Investimenti Diretti Esteri (Ide) ammontavano, in Italia, al 20,5% del Pil, pari a 361,1 miliardi di euro, con una contrazione dell'1,7% rispetto al 2017. Solo la Grecia, secondo i dati di monitoraggio Ocse, è posizionata peggio dell'Italia.

Secondo la Cgia: "Con tante tasse, una burocrazia asfissiante, poca certezza del diritto, una giustizia civile lenta e poco efficiente, tempi di pagamento della nostra Pubblica Amministrazione tra i più elevati d'Europa e un deficit infrastrutturale spaventoso, non c'è da meravigliarsi se l'Italia si colloca al penultimo posto nell'Unione Europea per gli Investimenti Diretti Esteri".

"Purtroppo - continua la nota - le tante problematiche a cui sono sottoposti quotidianamente i nostri imprenditori hanno innalzato nel tempo una ipotetica barriera d'ingresso che dirotta altrove gli interessi degli investitori esteri". Il riferimento è alle ultime vicende riguardanti Ilva, Alitalia e Ikea che dimostrano in clima, nel nostro Paese, che non favorisce l'attività imprenditoriale e l'ingresso di investimenti stranieri.

In Italia, difatti, sottolinea il coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo, "si avverte in molti strati della società e della Pubblica Amministrazione una cultura del sospetto verso gli imprenditori che condiziona negativamente la crescita e lo sviluppo". Secondo gli ultimi dati Istat disponibili (anno 2017), le multinazionali, ovvero le imprese a controllo estero residenti in Italia, sfiorano le 15.000 unità, danno lavoro a poco più di 1.350.000 addetti e producono 572,3 miliardi di euro di fatturato all'anno. "Sebbene siano sempre più diffuse nel settore dei servizi e meno nel comparto industriale - osserva il segretario della Cgia, Renato Mason - le multinazionali estere sono comunque una componente importante della nostra economia, soprattutto nei settori ad alto valore aggiunto. Ricordo, inoltre, che in termini di lavoro queste realtà occupano direttamente il 6 per cento circa di tutti gli addetti presenti in Italia e concorrono a produrre poco più del 17 per cento del fatturato nazionale".

L'elenco delle big company straniere più importanti che nel 2019 sono state al centro della cronaca sindacale sono: ArcelorMittal (Taranto), Bekaert (Incisa Valdarno - Fi), Bosch (Bari), ex-Embraco (Riva di Chieri - To), Unilever (Verona) e Whirlpool (Napoli). Tra i grandi marchi del "made in Italy" che stanno vivendo momenti difficili segnaliamo Alitalia (Roma), Ferriera (Trieste), Gruppo Ferrarini (Reggio Emilia), La Perla (Bologna), Pernigotti (Novi Ligure - Al) e Stefanel (Ponte di Piave - Tv).

In questo contesto, però, parte delle colpe è anche di questi grandi gruppo:"Premesso che, ad esempio, ArcelorMittal, Embraco, Whirlpool e molte altre multinazionali non sono certo delle onlus, ma delle realtà fortemente determinate a perseguire i propri interessi spesso in barba agli accordi preventivamente sottoscritti con le parti sociali, è altrettanto evidente che le responsabilità di un loro possibile addio vanno ricercate anche in un clima generale di avversione nei confronti delle aziende presenti nel nostro Paese".

Tornando ai dati, secondo la Cgia è proprio il settore produttivo a attrarre gli investimenti provenienti dall'estero: "Dei 372,1 miliardi di euro di IDE presenti nel nostro paese nel 2017, il 27,8 per cento circa (pari a 103,4 miliardi di euro) ha interessato il settore manifatturiero (in particolar modo alimentari/bevande, autoveicoli, metalli e prodotti di metallo). Seguono attività professionali, scientifiche e tecniche, in parte ascrivibili a consulenze aziendali di vario tipo, che incidono per il 21,4 per cento (79,5 miliardi di euro) e il commercio e l'autoriparazione con il 10,8 per cento (40 miliardi di euro). Gli ambiti dove la presenza pubblica è più significativa sono anche quelli dove si registrano i livelli più bassi di investimenti diretti esteri.

E' il caso del settore artistico con 742 milioni, di quello riferito all'acqua, reti fognarie e rifiuti con 401 milioni e nella sanità/assistenza sociale con 110 milioni di euro".

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