L'articolo 63 disposizioni attuative del Codice civile, così come riscritto dalla legge di riforma (legge numero. 212/'12), stabilisce, al secondo comma, che «i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condòmini». E in tale prospettiva prevede, al primo comma, che l'amministratore sia «tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condòmini morosi».
Nonostante questo chiaro disposto normativo, secondo una tesi interpretativa il conto corrente condominiale sarebbe comunque direttamente aggredibile. Ciò, sul presupposto, in sostanza, che tale conto costituirebbe un patrimonio separato del condominio, con la conseguenza che le somme in esso presenti non sarebbero più riconducibili ai singoli condòmini che le hanno versate (cfr., fra le altre, Tribunale Milano ord. 27.5.'14).
Si tratta di un orientamento (in relazione al quale risultano comunque anche posizioni opposte: cfr. Tribunale. Pescara ord. 17.12.'13) che non può, evidentemente, essere condiviso.
Le somme giacenti sul conto corrente condominiale non possono costituire, infatti, un patrimonio separato per la semplice ragione che il condominio anche dopo la riforma non ha alcuna soggettività giuridica. La conclusione è, allora, che tali somme sono da riferirsi, esclusivamente, ai singoli condòmini, con la (ovvia) conseguenza che l'escussione di un conto corrente condominiale, ove siano presenti anche fondi di proprietari virtuosi (com'è di norma), violerebbe la condizione posta dal predetto articolo. 63.
*Presidente
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