C'è chi dice che l'inflazione è come il dentifricio: una volta fuori, non lo puoi più rimettere nel tubetto. Eppure, i mercati continuano a pensare che le banche centrali, a colpi di rialzi dei tassi, riusciranno a domare l'ascesa dei prezzi. Le crescenti tensioni sui mercati obbligazionari riflettono queste attese. L'ultimo segnale, forte e chiaro, è arrivato ieri dai rendimenti del Bund decennale, saliti sopra lo zero per la prima volta dal maggio del 2019, mentre il Btp è passato in poche ore dall'1,39 all'1,45%; negli Usa, il T-Bond a 10 anni sfiora ormai l'1,9% e il titolo biennale, il miglior indicatore sui tassi a breve, ha superato la soglia dell'1 per cento.
Queste percentuali partono da un assunto: la Federal Reserve darà quest'anno un quadruplo giro di vite al costo del denaro, solo parzialmente imitata dalla Bce che anticiperà a settembre, da ottobre, il primo restringimento delle maglie monetarie, per riportare il tasso di riferimento sopra lo zero entro la fine del 2023. L'obiettivo di Washington e di Francoforte è di dare un colpo di piccone al carovita, dopo che in dicembre ha toccato il 7% negli Stati Uniti e il 5% nella eurozona. La tesi non sembra tener conto del fatto che gli istituti di emissione non possono governare le interruzioni nelle catene di approvvigionamento, un tema tornato cruciale con la diffusione di Omicron, né la spirale prezzi-salari provocata dalla difesa dei margini da parte delle imprese e neppure le quotazioni del petrolio (Brent ieri a 88 dollari).
Inoltre, per provare ad aggredire alla gola il Moloch dell'inflazione occorre grande aggressività. Se l'hedge fund Pershing Square Capital Management non esclude da parte della Fed, una mossa choc, con una prima stretta di mezzo punto, JP Morgan mette in conto un processo di normalizzazione monetaria in sette tappe. Se così fosse, ci sarebbe da preoccuparsi. A partire dal 1960, le campagne di rialzo dei tassi condotte da Eccles Building mentre Wall Street esprimeva valutazioni superiori a 20 volte gli utili, si sono rivelate un disastro sotto forma di tre mercati ribassisti, due recessioni e una crisi del debito. Con le valutazioni attuali, appena al di sotto di quelle viste nel 1999 prima dello scoppio della bolla delle dot.com, non è da escludere una replica. Qui, infatti, sta il cuore del problema.
A un certo punto, Jerome Powell (ma anche Joe Biden, quando si avvicinerà il voto di mid-term in novembre) si troverà a un bivio: se continuerà a dar la caccia al carovita, dovrà fare i conti con l'instabilità dei mercati. Pillola rossa, o pillola blu? Quale sarà la probabile scelta, si legge nelle parole del presidente della Fed di Cleveland, Mester, a proposito degli 8mila miliardi di dollari di asset in pancia all'istituto centrale Usa: Vorrei ridurli il più velocemente possibile, a condizione di non disturbare il funzionamento dei mercati finanziari.
La Bce gioca solo apparentemente un'altra partita. Christine Lagarde non ha ancora dismesso il piumaggio da colomba, ha da poco rafforzato il vecchio Qe di Mario Draghi, ma l'inflazione morde, soprattutto in Germania. Il dibattito su come muoversi rischia quindi di diventare presto acceso.
Alcuni analisti non hanno però dubbi: l'Eurotower non tollererà rendimenti dei Bund attorno all'1%, poiché allargherebbero gli spread con i Paesi più indebitati, indebolendoli proprio nel momento in cui, tra l'altro, sono in corso le discussioni sulla riforma del Patto di stabilità. Di fatto, Francoforte si muoverà con i piedi di piombo. E l'inflazione, qui come in America, non rientrerà nel tubetto del dentifricio.
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