Il futuro del South Stream e di Saipem, il prezzo del petrolio, gli investimenti e gli obiettivi a medio lungo termine. A sei mesi dal suo insediamento, l'ad Claudio Descalzi - per la prima volta in audizione alla Commissione industria e bilancio del Senato - fa il punto sui piani dell'Eni in Italia e all'estero. In particolare, Descalzi ha fatto chiarezza sul gasdotto South Stream che dalla costa russa del Mar Nero dovrebbe sboccare in Bulgaria (schivando l'Ucraina) e da qui in Italia. Ma che Bruxelles non vede di buon occhio per l'eccessiva dipendenza che l'Europa, e l'Italia, hanno dalle forniture russe. E, a sorpresa, Descalzi ha lanciato una sorta di aut aut: «L'Eni continuerà a impegnarsi sul South Stream se l'investimento sarà di 600 milioni, altrimenti valuterà l'uscita dal progetto, che prevede il 70% dei fondi a debito e il 30% equity».
All'orizzonte il Cane a sei zampe ipotizza quindi un cambio di strategia che potrebbe realizzarsi a breve, già in primavera, quando i quattro soci (Eni, Gazprom, Edf e Wintershall) dovranno decidere se finanziare con 2 miliardi la prima tranche sottomarina. «Il South Stream ha una sua valenza, ma noi dobbiamo guardare i nostri conti». D'atra parte il gruppo non può permettersi scivoloni visto che (tra il 2009 e 2013) raffinazione e chimica hanno accusato un risultato operativo totale negativo per 10 miliardi, di cui sei per la sola attività di raffinazione. Una scelta, quella sul South Stream, «che non mette in pericolo il progetto - ha aggiunto l'ad - né Saipem, che ha un contratto solido da 2 miliardi per il gasdotto e sta già lavorando». La controllata dell'Eni, è da qualche mese oggetto di una possibile dismissione e, in merito, Descalzi ha chiarito «che non ci sono novità, ma che è da escludere uno spezzatino». Sulla way out starebbe lavorando Credit Suisse anche se non c'è ancora un mandato ufficiale. In ogni caso, la vendita della storica partecipazione, sarà cruciale ai fini della cassa, già migliorata con le rinegoziazioni dei contratti gas.
Quanto al petrolio, le previsioni di Eni ipotizzano che il prezzo rimanga stabile a 90 dollari al barile. Ieri, però, il Brent ha ceduto il 2,32% a 82,81 dollari (il minimo da oltre quattro anni) dopo che l'Arabia Saudita ha tagliato i prezzi delle esportazioni verso gli Stati Uniti; e il Wti è sceso del 2,09% a 77,13 dollari al barile. E così, in Borsa, i titoli delle società petrolifere hanno registrato forti perdite: Eni (-3,47%), Tenaris (-3,79%), Saipem (-4,84%), Saras (-2,04%), Erg (-2,40%).
E mentre prosegue il taglio dei costi corporate (per fine anno la riduzione dovrebbe essere di 500 milioni), con una riduzione del debito sotto i 15 miliardi, la società punta forte sull'Italia con investimenti per 8 miliardi dalla val d'Agri, all'offshore siciliano, passando dal riassetto di Gela e dalla riconversione di Priolo e Porto
Marghera. Sul fronte estero, il gruppo ha già messo fieno in cascina: tra il 2008 e il 2013 «abbiamo scoperto risorse per 9,5 miliardi di barili equivalenti. Dunque - ha concluso Descalzi - ci siamo assicurati il futuro».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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